Albspirit

Media/News/Publishing

Peter Morgan: Ecco perché Hoxha “temeva” Kadare

Pubblichiamo un’intervista del professore americano Peter Morgan rilasciato al quotidiano “Gazeta Shqiptare” sul suo ultimo lavoro “Ismail Kadare: The Writer and the Dictatorship 1957-1990” (London, Oxford: Legenda, 2009), uno studio critico e biografico sulla figura del grande scrittore albanese.

“Il gioco tra Ismail Kadare ed Enver Hoxha era come quello del gatto e del topo. È per questo che ho deciso di chiamarli due maestri di scacchi quando si trovano uno di fronte all’altro.” Si esprime così il professore americano, Peter Morgan, che ha appena pubblicato “Ismail Kadare: Lo scrittore e la dittatura, 1957-1990”. In questo studio di lungo periodo, l’autore presenta il viaggio di Ismail Kadare dagli inizi della sua gioventù, quando era ancora un ragazzo che si godeva i primi frutti della modernizzazione comunista, fino a quando diventò lo scrittore rigido, provocatorio e ambizioso. Morgan racconta come “Il Palazzo dei Sogni” è stato ciò che l’ha spinto a entrare nel misterioso mondo di questo scrittore e capire qual’era il rapporto che lo legava al dittatore Enver Hoxha. Percorrendo le varie opere, Peter Morgan racconta come i messaggi tra le righe di Kadare potessero sfuggire allo sguardo scrutatore di Nexhmije Hoxha, moglie del dittatore. L’intelligenza di Kadare era tale che il contenuto dei suoi scritti poteva soddisfare entrambe le parti, quelli capaci a leggere tra le righe e quelli che invece non potevano andare oltre. Il dittatore riconosceva in Kadare uno scrittore di alto livello e pensò bene di sfruttarlo per far approvare il suo regime dall’Occidente. Hoxha era un po’ snob e si rifiutava di essere paragonato anche minimamente a personaggi come Nikita Khrushchev oppure Nikolaje Causesku. Infine, Morgan racconta come Enver Hoxha abbia cercato di pubblicare i suoi ricordi di infanzia presso la “Fayard”, senza però riuscirci.

Lei ha appena scritto un libro su Ismail Kadare durante il periodo della dittatura. Perché ha deciso di farlo?

Il processo di scrittura del libro “Ismail Kadare: Lo scrittore e la dittatura, 1957-1990” è stato abbastanza lungo. Mi capitò sotto mano il libro di Kadare “Il Palazzo dei Sogni” nella versione inglese, l’ho letto e mi sono subito convinto che sarebbe stato il testo ideale per spiegare l’Europa socialista ai miei studenti. È un testo relativamente contemporaneo, che racconta una situazione di “Stalinizzazione” estrema, e mi ha fornito informazioni importanti sull’Europa socialista del dopoguerra. Questo romanzo mi ha dato la possibilità di imparare di più sui Balcani e sulla società albanese. Un progetto di ricerca iniziato nel 2003, mi ha guidato verso altre opere di Kadare, l’Albania e l’autore stesso, a Parigi e Tirana. Durante il tempo impiegato per scrivere questo libro, sono riuscito a conoscere anche Kadare, lo scrittore esperto in politica e etnicità. Il contesto della dittatura albanese, la formazione dello scrittore a Mosca, la conoscenza profonda dello stile complesso di scrittura all’interno della società comunista del dopoguerra, il fatto che si era rifiutato di lasciare il paese durante gli anni ’70 e ’80, e scendere a un qualsiasi compromesso, fanno di Kadare  uno scrittore unico all’interno dell’ambiente socialista. In una terra in cui gli scrittori venivano arrestati, torturati e ammazzati, Kadare ha prodotto alcune delle sue opere più brillanti e azzardate, distinguendosi così nell’Europa Socialista orientale. Il risultato delle mie approfondite ricerche, la scarsa conoscenza di Kadare tra gli anglosassoni e quella scarsissima circa il regime dittatoriale di Enver Hoxha in Albania, mi hanno portato a scrivere articoli sul libro “Il Palazzo dei Sogni”. Avendo appurato queste scarse conoscenze – per lo meno tra i parlanti una lingua anglosassone – ho  proposto di scrivere un libro, ricevendo un fondo generoso da parte del Consiglio Australiano per la Ricerca, per poter effettuare ricerche e scrivere un libro su Ismail Kadare.

Quand’è stata la prima volta che ha incontrato Kadare?

A novembre del 2004. Ho visto in lui una persona preoccupata per l’Albania, la sua storia contemporanea e il suo stesso ruolo. Poi ho notato il suo scetticismo sulle capacità di un’altra persona a penetrare nei suoi segreti. Ho iniziato il mio studio con l’obiettivo di trovare una risposta alle contraddizioni nelle sue opere e nella sua vita. Ho descritto il viaggio di Kadare a partire dai tempi in cui era ancora ragazzo che si godeva i primi frutti della modernizzazione comunista fino a quando non diventò lo scrittore rigido, provocatorio e ambizioso ma allo stesso tempo anche insicuro alla fine della dittatura. Le analisi storiche e letterarie svelano le opere di Kadare e presentano una persona dedicata al proprio lavoro ma allo stesso tempo apertamente e coerentemente contraria alla dittatura dal libro “Città senza tracce” dell’anno 1959 a “L’Ombra” e “La Piramide” alla fine degli anni ’80.

Lei ha incontrato diverse volte Kadare, ci potrebbe svelare qualcosa di più riguardo i vostri incontri e conversazioni?

Kadare è un vero signore, scrittore e intellettuale che ha dedicato la propria vita alla letteratura e all’Albania. Allo stesso tempo è un cosmopolita, un europeo ma anche un solido patriota che esprime apertamente le sue opinioni per questioni legate al suo paese, siano queste sul piano sociale, politico o culturale. Così come ha dimostrato nel corso degli ultimi 50 anni, Kadare ha a cuore il benessere dei suoi compaesani e dell’Albania. Quello che maggiormente mi colpisce in questo scrittore è la calma e la leggerezza con la quale scrive. Per me è questo che evidenzia il livello di genialità di Kadare, la sua naturale capacità di raccontare e le parole che usa, fanno di lui un personaggio affascinante anche nelle traduzioni in altre lingue.

Nel suo libro parla della vita di Kadare durante il comunismo. Dove ha trovato tutte le informazioni? Chi ha incontrato?

Tante delle mie informazioni sono tratte da varie interviste che ho fatto nel 2004 a Tirana, con amici, colleghi e altre persone su Kadare e sulla cultura, la storia, la società, la politica e la vita albanese in generale. In particolare, Jean-Paul Champseix, insegnante di lingua francese in Albania durante gli anni 80 e il Prof. Ilir Yzeiri dell’Università di Elbasan, mi hanno fornito molte informazioni e incoraggiato a conoscere l’Albania, la sua storia e cultura. Non ho mai vissuto durante il comunismo, ma ho letto e mi sono ampiamente informato sulla storia durante quegli anni, ho parlato con persone che hanno vissuto questo regime in prima persona. Forse non saprò mai, come avrei vissuto in circostanze del genere, ma posso garantire di aver fatto del mio meglio nel cercare di capire attraverso la storia raccontata, com’era la vita durante quei decenni.

Ci può accennare i temi principali che il suo libro percorre?

Mentre la maggior parte del libro tratta le visioni politiche, la storia e la biografia dell’autore, il mio interesse principale è Kadare come scrittore. Sono rimasto estremamente colpito dai suoi romanzi e il mio scopo era quello di scrivere uno studio critico sulla sua opera. Per fare questo, ho dovuto scoprire lo spazio dedicato alla sua letteratura e alla sua “esseistica”. Il tema centrale è l’identità albanese a partire dal suo ritorno in patria negli anni ‘60. Una delle critiche fatte all’autore, sia da critici albanesi e internazionali, è quella di aver cambiato il suo modo di scrivere in modo tale da poter rimanere in linea con il regime. Comunque sia, analizzando i suoi romanzi si nota  un distinto livello di coerenza nel suo criticare il tradimento che il regime ha fatto al suo stesso popolo. Da “La Città senza Tracce” (1959) e fino ai suoi ultimi romanzi negli anni ’80, l’autore ha esposto la fragilità, la corruzione e la putrefazione del regime; ma ha sempre appoggiato con fermezza il senso dell’identità albanese, testimoniata dalla storia nazionale e dai valori della tradizione incompatibili con la dittatura. C’è qualcosa che non sappiamo di Kadare? I miei amici albanesi, come il professore Ilir Yzeiri, mi hanno fatto notare aspetti negli scritti di Kadare, che da straniero non avrei mai colto. Non intendo suggerire di essere in grado di insegnare agli albanesi il senso delle opere di Kadare. In realtà, ho incontrato tante persone albanesi, gente comune, che si sono mostrati estremamente fieri di Kadare. Devo pur affermare però, che il popolo albanese non è ancora sufficientemente consapevole di quanto Kadare sia importante sullo scenario mondiale della letteratura. Per quanto mi riguarda lui è uno dei più grandi cronisti del secondo dopoguerra, il lavoro del quale supera le barriere nazionali e parla a tutto il mondo dell’Albania e del suo popolo. Trovo scandaloso il fatto che lui non abbia vinto nemmeno un premio Nobel per la letteratura negli anni passati, e spero che possa riceverne uno il prima possibile, come un riconoscimento per il suo contributo nella letteratura mondiale.Ha detto che il suo libro è un racconto su due maestri di scacchi determinati e avversari per oltre tre decenni. Perché usa il termine “maestri di scacchi”?

Ho usato questa espressione principalmente per rappresentare il livello delle tattiche coinvolte nel rapporto tra Kadare e il regime per più di tre decenni. Entrambi, sia lui che Enver Hoxha hanno giocato un gioco estremamente serio per l’Albania. Un’altra metafora, ad esempio quella usata nella lingua anglosassone, “giocare al gatto e al topo” non potrebbe rappresentare il livello intellettuale e le tattiche delle due parti. Inoltre, c’era anche un
coinvolgimento personale tra i due personaggi e questo fa sì che Kadare si trovasse in una particolare posizione all’interno del contesto delle dittature dell’Europa socialista. Kadare stesso ha usato una serie di metafore, specialmente quella degli antichi miti greci, come Prometeo e Zeus, proprio per rappresentare il grado di complessità del rapporto dittatore-scrittore, politica-letteratura e realtà-immaginazione.

Lei sostiene che Kadare aveva delle tattiche brillanti. Lui riuscì a sopravvivere con il dittatore più spietato di tutti i tempi. Ci potrebbe dire quali erano le tattiche che usava?È una domanda complessa e richiede una risposta meticolosa. In realtà, è una delle questioni principali trattate nel mio libro. Kadare era senza dubbi un ottimo stratega, una persona in grado di leggere la situazione politica e capace di scrivere nel modo in cui meglio credeva, risultando sempre entro i limiti della censura. È importante sottolineare che gran parte di quello che Kadare scriveva era scrutato e controllato dagli editori del regime, così spesso succedeva che gli scritti venivano modificati o anche rimandati all’autore per una revisione. Kadare era pronto a rivedere quelle “briciole” pur di poter realizzare la pubblicazione della sua opera. Il mio studio, sulle obiezioni sollevate da redattori anche di un alto livello (come era Nexhmije Hoxha) dimostra che nessuno di loro aveva in realtà colto l’essenza e le sfaccettature di quei scritti con la dovuta perspicacia e intelligenza. Kadare scriveva in una maniera tale da poter soddisfare entrambe le parti, quelli che potevano leggere fra le righe e quelli che non ne erano capaci.  Così come il poeta tedesco del 19esimo secolo, Heine, Kadare sembra aver coinvolto in questo gioco al gatto e topo le case editrici dell’Albania comunista. Per lui superare la censura del regime era diventato un dovere. Ad ogni modo, lo scrittore si limitava nei suoi modi di scrivere e soffriva lo stress e l’umiliazione del controllo subito dalla sua opera quando pubblicò “Il Grande Inverno” e “Il Palazzo dei Sogni”. La pressione che lui subiva nello scrivere in quelle condizioni non era affatto da trascurare.

Enver Hoxha, sostiene lei, era un narciso intelligente, assetato di potere e che voleva dimostrare al mondo che il suo era un regime sofisticato. Come spiega questa sua opinione?

Enver Hoxha era l’unico leader nell’Europa socialista che aveva avuto un’istruzione europea – occidentale in Francia e Belgio. Lui andava fiero della sua biblioteca, di quello che aveva letto e dei suoi credenziali intellettuali francesi, ma in realtà non era uno scrittore o un intellettuale così grande. Comunque sia, Hoxha ci teneva ad avere una reputazione del genere. Lui vide in Kadare uno scrittore di alto livello e allo stesso tempo capì che lo poteva sfruttare per far sì che il suo regime venisse accettato dall’Occidente. Ad ogni modo, Enver Hoxha non riuscì a leggere tra le righe; non colse la superficie per la quale Kadare utilizzava strumenti letterari in modo tale da minare e graffiare le fondamenta della dittatura. Addirittura il romanzo “Il Grande Inverno”, forse il più contestabile e discutibile tra quelli scritti da Kadare, mentre ritraeva apparentemente Enver Hoxha come un eroe, allo stesso tempo racconta come in un paese come l’Albania il partito fosse degenerato e nel quale la vincita su Mosca si tradusse in isolamento, povertà e sottovalutazione dell’albanese Besnik Struga. La bufera di neve alla fine del romanzo riassume,o meglio, rappresenta la situazione finale.  Mentre il romanzo “Le Nozzi”, considerato dallo stesso Kadare come uno dei più scarsi e più compromessi, è abbastanza lontano dalla chiarezza quando si tratta di descrivere i conflitti tra i valori tradizionali e quelli del regime comunista. Così mentre Enver Hoxha considerava Kadare il suo scrittore e l’intellettuale al quale concedeva una libertà relativa nel viaggiare e nello scrivere, Kadare stava trasformando tale libertà in qualcosa di veramente pericoloso per il regime. Dove vede lei la forza dello scrittore nei confronti di E. Hoxha, l’uomo che possedeva il popolo albanese?

Mentre scriveva, Kadare conquistò un consistente appoggio anche da tanti intellettuali francesi, come l’editore Claude Durand, al quale lui avrebbe comunicato in caso di pericolo. Enver Hoxha era un personaggio snob tra tutti i leader comunisti dell’Europa e non voleva minimamente assomigliare aNikita Khrushchev oppure Nikolaje Causesku. Hoxha cercò in tutti i modi, di pubblicare i suoi ricordi d’infanzia presso l’editore francese di Kadare “Fayard”, ma non ci riuscì. Il legame tra Kadare e il mondo Occidentale, procurava allo scrittore potenziale e protezione. Lei paragona Kadare a Nemesi, dea della vendetta. A questo proposito, che cosa ha fatto lui? Qual’è stata la sua vendetta?

La sua vendetta consiste nella fama e nell’ammirazione della quale lui godeva. Allo stesso tempo, quando Kadare soffriva, colpiva e feriva la dittatura. Lui ha offerto al popolo albanese l’immagine di ciò che loro erano e ciò che potevano essere laddove fossero riusciti a liberarsi dalle catene della dittatura. Enver Hoxha e i suoi amici, incluso sua moglie Nexhmije avevano poteri assoluti fino alla fine. Kadare ha documentato la vita albanese sotto il regime fino alla fine degli anni ’90.  Lei dice che gli scritti di Kadare, “ironici, pluri-significativi e immaginativi” contrastavano completamente con le ideologie di quei tempi. Questo vale per tutte le sue opere?

Sì, anche nelle opere più discusse come “Le Nozze” e “Il Grande Inverno”. Ci sono modi e modi per leggere questi testi, uno dei quali è leggerli tra le righe.

Come definirebbe lei la vita di Kadare durante quei tempi?

Considerati gli standard di vita degli albanesi all’epoca, Ismail Kadare godeva di una serie di privilegi, in termini concreti e fisici. Lui viveva relativamente bene e aveva la possibilità di viaggiare anche se controllato e sorvegliato. Sarebbe sbagliato considerare Kadare una figura taciturna di quell’epoca. Le sue opere venivano pubblicate selettivamente e lui era un membro conosciuto della Lega degli Scrittori così come del Partito. Era deputato di assemblea e poteva uscire dal paese. Kadare è riuscito a evitare la prigione, i campi di lavoro o altre forme di punizione per coloro che non seguivano la corrente. Sono stati dei veri e propri privilegi, questi. Ma è importante notare che Kadare non aveva la libertà di rinunciare ai viaggi oppure di rifiutare di unirsi ai gruppi del governo. Ciascuno dei privilegi di cui lui godeva, aveva un prezzo. Così come ogni altro aspetto della sua vita, le opere che scriveva erano soggetto a rigidi controlli. Lui ha sofferto tantissimo a causa delle minacce ed era terrorizzato dall’idea di un’azione improvvisa del dittatore. Hoxha aveva rispetto nei confronti della Francia ed era talmente scaltro da proteggere Kadare in quanto una figura di gran valore sullo scenario internazionale. Ad ogni modo, Kadare non ha mai dato alcuna approvazione al regime nel suo ruolo da ambasciatore. Al contrario, sfruttava ogni possibilità per diffondere le opere letterarie che parlavano eloquentemente della difficile situazione del paese. La sua letteratura è impeccabile. Per poter sopravvivere, ha dovuto accettare in silenzio il regime e con esso, i privilegi.

 

Intervista di Fatmira Nikolli. Pubblicato sul quotidiano Gazeta Shqiptare del 17 febbraio 2010. Titolo originale “Peter Morgan: Ja si e ‘frikesonte’ Kadare Enver Hoxhen”.

Tradotto per AlbaniaNews da Altina Hoti.

Please follow and like us: