Irena Dedvukaj: La mia Rosi
Essere mamma di una ginnasta vuol dire trovare forcine in ogni angolo della casa, tenerti da parte la cena perché sei ad allenamento, organizzare viaggi di famiglia dopo aver saputo le date delle gare, vuol dire spalmare arnica su schiena, gambe e piedi doloranti, ascoltare in silenzio racconti entusiasti della nuova coreografia di squadra che viene davvero bene.
Essere mamma di una ginnasta vuol dire lavare il body con cura e delicatezza per non farlo scolorire e non far cadere nemmeno uno strass, vuol dire scapicollarsi per arrivare in tempo in palestra ad ogni allenamento ed aspettare la fine, quando fuori fa freddo ed è buio e vorrei già essere sotto le coperte. Vuol dire avere l’enorme coraggio di svuotare quel borsone più grande di te e trovare decine di calzini, canotte che ormai davo per disperse e un paio di mezzepunte che chiedono a gran voce di essere lavate.
Essere mamma di una ginnasta vuol dire vederti crescere in una squadra, che poi diventa un po’ famiglia e come nelle migliori di famiglie si litiga e si discute. Vuol dire vederti ammirare le ginnaste più grandi ed aiutare le più piccine. Vuol dire aver conosciuto tante persone e aver trovato degli amici veri. Vuol dire sapere che il giorno della gara non mangerai praticamente nulla. Vuol dire conservare tutti i body in un cassetto, dal corso baby fino ad oggi. Vuol dire aver imparato a fare uno chignon con sei forcine rispetto alle quarantanove della prima volta. Vuol dire scoprirti piena di lividi e non capire da dove vangano, per poi vedere la nuova coreografia e capire da dove provengano.
Essere mamma di una ginnasta vuol dire parlarti mentre tu balli, ti muovi e ancora balli, vuol dire vederti fare lancio-capovolta-ripresa con qualsiasi cosa che ricordi anche solo lontanamente un attrezzo, dal mandarino al nastro da pacchi, alle bacchette del cinese.
Essere mamma di una ginnasta vuol dire mettere la sveglia alle 7 di domenica mattina per raggiungere una sperduta palestra comunale di un altrettanto sperduto paesino, aspettare pazientemente e a volte per ore il tuo turno, poi il battito del tuo e del mio cuore in sincrono, quei 45-60 secondi con il fiato sospeso, sperando che tu dia il meglio di te e che nessuna palla, clavetta, fune, cerchio o nastro cadano sulla pedana. Vuol dire asciugare lacrime di delusione per aver lavorato per mesi e non aver raggiunto il podio, vuol dire asciugare le mie di lacrime perché quel podio lo hai raggiunto eccome.