Otto libri di Ismail Kadare scelti e recensiti da Sara Daneri
Alla lingua e alla cultura albanese mi sono inizialmente avvicinata col desiderio di conoscere più a fondo le radici del mio compagno, e di condividere con lui e la sua famiglia quella parte di noi che solo nella propria lingua madre riusciamo ad esprimere. In cambio, si è per me aperta una nuova finestra sul mondo, i cui orizzonti di interesse vanno ben oltre l’ambito personale.
Dopo le prime letture in italiano, la mia più grande passione ha avuto inizio quando, in procinto di affrontare un viaggio verso Argirocastro, mi sono cimentata nell’impresa di leggere in lingua originale il mio primo libro di Ismail Kadare, “La città di pietra”, ambientato proprio nella sua città natale.
Attraverso la sua scrittura –che nonostante le mie difficoltà linguistiche dell’epoca mi spingeva a cercare nel dizionario ormai sgualcito ogni parola sconosciuta e ad informarmi su espressioni difficilmente traducibili– Kadare mi ha catapultato in una dimensione magica, come solo i più grandi scrittori sanno fare. Iscrivendo gli eventi drammatici del suo tempo in un passato che oscilla tra il reale e il fittizio, intriso di mito, leggenda, oralità, allegoria e ironia, Kadare li eleva così dal loro orizzonte spazio-temporale per stimolare in noi profonde riflessioni di carattere universale.
Tutto questo con una prosa capace di diventare poesia, di captare con le sue immagini tutti i nostri sensi, di renderci pensatori liberi e indipendenti.
Sperando di stimolare anche in voi curiosità per colui che è senza dubbio uno dei più grandi scrittori del Novecento, vi propongo qui otto recensioni dei suoi libri che mi hanno appassionato di più, tra quelli tradotti in italiano.
1. Il Palazzo dei Sogni
Pubblicato nel 1981 e censurato dopo pochi mesi dal regime per poi essere ripubblicato solamente dopo la sua caduta, “Il palazzo dei sogni’’ rappresenta forse l’opera più coraggiosa ed emblematica di Kadare scritta durante la dittatura.
Gli ingranaggi del complesso meccanismo con cui lo Stato controlla la vita dei suoi cittadini sono descritti attraverso una potente allegoria. Nell’immaginario Tabir Saraj, detto anche Palazzo dei Sogni, funzionari dell’Impero ottomano raccolgono, selezionano ed infine interpretano i sogni potenzialmente dannosi per lo Stato. Il fine è quello di soffocare sul nascere eventuali congiure.
Nel viaggio attraverso le buie stanze e i cunicoli di questo enorme palazzo ci accompagna il personaggio di Mark Alemi. Da semplice e timoroso impiegato raccomandato da una famiglia potente, ascende via via alle cariche più alte nel palazzo, subendo nel mentre una profonda trasformazione psicologica. Pur di sfuggire alla paura di commettere errori, non gli resta altra scelta che abbandonare i propri valori per abbracciare quelli dello Stato, e diventare anch’egli un ingranaggio in attesa di essere sostituito.
2. La figlia di Agamennone
È il primo maggio a Tirana. La musica festosa e il rumore dei passanti che si riversano nelle strade stridono col vuoto e il silenzio che pervadono l’appartamento del protagonista, nella vana attesa della sua bella Suzane.
Ed ecco che ad un tratto la parata diventa l’emblema di una duplice cerimonia sacrificale. In primis, così come nel mito Ifigenia viene offerta in sacrificio dal padre Agamennone per la ragion di Stato, così la giovane Suzane vede annullata la propria libertà amorosa da parte del padre, il quale aspira alle cariche più alte dello Stato. In secondo luogo, il padre sacrifica la propria umanità ed integrità morale pur di scalare le vette del potere e guadagnarsi il ruolo di Successore.
Costretto anche lui a partecipare alla parata, il protagonista si addentra tra la folla percorrendo tra pensieri e volti noti un viaggio quasi dantesco, che tanto più agli inferi discende quanto più alle tribune si avvicina.
3. La città di pietra
Magica è, fin dalle prime righe di questo romanzo, Argirocastro, città natale di Kadare. Il suo manto di pietra grigia, dalle strade scoscese fino ai tetti, crea un’atmosfera unica, che ancora oggi rapisce i suoi visitatori.
Siamo nei primi anni ‘40 ed intrisa di magia e superstizione è anche la vita dei suoi abitanti. Per raccontarcela con quella dose di ironia che solo il racconto di un bambino ci può offrire, nonostante il risvolto tragico di alcune vicende, l’autore rindossa per l’occasione le lenti della sua infanzia. Attraverso quelle lenti l’autore rivive l’occupazione straniera della città da parte di italiani, greci e tedeschi, oscillando tra il gioco e la paura, sorvolato da aerei “oltremodo terribili’’ e “più belli che in sogno’’.
4. Aprile spezzato
Secondo le regole del Kanun, antico codice di diritto in uso nelle alpi albanesi, Gjorg è costretto suo malgrado a vendicare la morte del fratello, pena la perdita del proprio onore presso la comunità e la famiglia stessa. La sua è solo l’ultima di una serie di vendette di sangue perpetrate in nome del Kanun tra la sua famiglia e quella dei Kryekuqe. Gjorg, secondo la besa, ha solo un mese di tempo, fino a metà aprile, prima che i parenti della vittima debbano vendicarsi a loro volta.
Nel frattempo, lo scrittore Besian Vorpsi è in viaggio di nozze con la moglie Diana, venuto in carrozza da Tirana per ammirare la terra dell’epos omerico e del temibile e maestoso Kanun.
Il viaggio che porta i tre alla fortezza di Oroshi, Gjorg per pagare l’imposta del sangue e i due sposi per addentrarsi nel cuore delle antiche usanze, diventa un profondo viaggio interiore. Mentre Gjorg cerca di dare un senso al suo destino prematuramente spezzato, di fronte al quale l’onore difeso dal Kanun non gli è di alcun conforto, Diana viene dolorosamente a contatto con la reale dimensione dei condannati a morte, in pieno contrasto con quella idealizzata dal marito. Gli sguardi dei due malcapitati si incroceranno, e da quel momento la loro vita non sarà più la stessa.
5. Un invito a cena di troppo
Ancora una volta nell’opera di Kadare l’Argirocastro degli anni ‘40 diventa il contesto storico ideale in cui inscenare un dramma sospeso tra realtà e finzione.
Poco dopo l’arrivo dei tedeschi in città e la cattura di decine di prigionieri, lo stimato Dottor Gurameto il grande decide di invitare a cena il comandante delle truppe Fritz von Schwabe, suo inseparabile compagno al tempo degli studi universitari in Germania. E proprio durante quella cena, inspiegabilmente tutti i prigionieri vengono rilasciati. Diverse voci a riguardo circolano nella città di provincia, ma presto la guerra finisce e la faccenda pare essere dimenticata.
Sennonché dieci anni dopo Stalin in persona, sospettando un complotto – parola assai cara alle dittature di tutti i tempi – avvierà indagini più profonde. Indagini che oscilleranno tra il delirio ossessivo degli aguzzini e l’inerme difesa del Dottor Gurameto il grande e del suo inseparabile doppio il Dottor Gurameto il piccolo.
6. L’occhio del tiranno
In un Impero ottomano fittizio che assurge ancora una volta a simbolo di totalitarismo moderno, sempre più vaga ed arbitraria è la causa di persecuzione.
Dopo i sogni premonitori de “Il palazzo dei sogni’’, questa è la volta del malocchio, che lanciato dagli occhi di alcuni individui viene considerato all’origine di eventi funesti nell’Impero. Per curare questa piaga si decide di accecare coloro che posseggano “occhi malvagi’’. La macchina del controllo e della repressione si mette in moto, in maniera sempre più organizzata e capillare. Tra i suoi ingranaggi vi è il promesso sposo di Maria, simbolo di una femminilità proiettata oltre la tradizione e, suo malgrado, verso la consapevolezza del suo dramma.
7. La piramide
In principio titubante sulla sua utilità, anche il giovane Cheope non può che dare inizio, come i suoi predecessori, alla costruzione della propria piramide.
Essa infatti, ben oltre a custodire e celebrare un giorno il sovrano defunto, fornisce al faraone un formidabile e duraturo strumento di coercizione di massa, un catalizzatore di braccia e di menti, liberando così il regno da possibili congiure. Nel corso di interminabili anni, la vita dell’Egitto è scandita non dai giorni bensì dai numeri delle sue pietre, e le generazioni dalle sue ripide scalinate.
Concepita come simbolo di immortalità, la piramide si trasforma ben presto in memento mori, prima per il popolo ed infine per il faraone stesso, anch’egli inerme di fronte al sopraggiungere dell’aldilà.
8. L’Aquila
In questo romanzo breve è il mito che fa da tramite al pensiero di Kadare, veicolando il dramma dell’individuo nel mondo totalitario. Il giovane Maks, in un giorno come tanti altri, precipita attraverso una buca in un mondo parallelo. Presto la vita in quel mondo, simbolo di prigionia fisica ed intellettuale, diventa pesante, l’aria per lui si fa irrespirabile.
L’unico modo per uscirne, dice la leggenda, è grazie all’aiuto di un’aquila, che in cambio di carne è disposta a portare gli uomini ovunque desiderino.
Nella mente di Maks, la realtà opprimente in cui si trova a vivere fa sempre più spazio a un desiderio febbrile e ossessivo di fuga. Per la libertà, il giovane si ritrova disposto a pagare all’aquila qualunque prezzo, anche quello della propria carne.
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Sara Daneri, originaria di un piccolo paese della riviera ligure, dopo aver vissuto per lavoro in diverse città d’Italia, Svizzera e Germania, da un anno vive a L’Aquila, dove lavora come ricercatrice in Analisi Matematica presso il Gran Sasso Science Institute.