Mario Bellizzi: MATERIALI ETNOGRAFICI ARBERESHE
TRA IL FANTASTICO E IL MERAVIGLIOSO
LA LEGGENDA DELLA RAGAZZA – SERPENTE DI FRASCINETO
O DI MELUSINA
Nella classificazione dei Types of the Folktale approntata da Antti Aarne e Stith Thompson la fiaba raccolta a Frascineto, paese arbresh di Calabria, “La ragazza serpente” dovrebbe essere collocata tra vari tipi, per citare qualcuno ricordiamo i “Supernatural or enchanted Husband (Wife) or others relatives” o meglio “The king and the Lamia (the snake -wife)”. Ma lo stesso motivo ha rimandi nella Bibbia, negli scrittori greco-latini dell’antichità, ecc. In diverse raccolte di fiabe e leggende , tra cui la mia “La danza delle fate”, ed. Prometeo, 2000, più volte, compare il tema di un soggetto che nella condizione di animale desidera sposarsi con un umano; una donna ‘a tempo debito’ partorisce un granchio che, però, durante la notte si trasforma in bambino e poi da adulto chiede in sposa la figlia del re; un drago cattura un uomo che gli rubava i fiori e in cambio della vita gli chiede di sposare la figlia minore; una zingara predice la nascita di un bambino con l’aspetto di cavallo. Nella leggenda “La ragazza serpente” di Frascineto, una ragazza che viveva con la matrigna, la sorellastra e un fratello, è voluta in sposa dal figlio del re, però è costretta a vivere all’ombra e al buio, perché la luce del sole la trasforma in serpente. Con suo fratello passeggia solo al tramonto e nonostante al principe viene partecipato il terribile segreto questi le chiede la mano. La nostra leggenda si accosta alle versioni medievali delle Melusine dei racconti meravigliosi, studiate da J. Le Goff, ed è simile ai miti greci di Eros e Psiche e di Zeus e Semele, alla leggenda romana di Numa e di Egeria. I rapporti tra Melusina e un gruppo di racconti dell’antica Grecia si ritrovano in diversi scrittori, come Erodoto, e Diodoro Siculo. Melusina ha, dunque, delle antenate nelle società antiche, ma è anche una creazione del Medioevo protagonista di racconti popolari e messa in scena da scrittori. Sempre Le Goff cita un gruppo di chierici che, nell’anno 1200, si compiace delle mirabilia che concernono Napoli e Virgilio mago ed è proprio di un cistercense la testimonianza della presenza di Melusina in quel periodo, che la fa diventare “una emergenza scritta e dotta di un fenomeno popolare e orale, le cui origini sono difficili da scoprire”. La leggenda già classificata da Thompson anche nella voce tabù fa porre al cristianesimo la domanda: l’uomo, immagine incarnata esclusiva di Dio, non si degrada unendosi con un mezzo animale? A proposito delle donne “meravigliose”, come si opera la distinzione tra magia bianca e magia nera, fate e streghe? Il cristianesimo offre a Melusina una possibilità di salvezza o la condanna inevitabilmente? Per gli autori medievali, la donna-serpente è una strega assimilata agli angeli decaduti, mezzo donna, mezzo animale e dai suoi accoppiamenti con un mortale nascono dei figli eccezionali. Taluni, secondo Le Goff, spiegano anche le ragioni di questi matrimoni: la donna-serpente, condannata, per una colpa, a soffrire eternamente nel corpo di un serpente, ricerca l’unione con un uomo, per essere strappata dalla sua eternità infelice e di morire di morte naturale e godere un’altra vita felice. Nella leggenda di Frascineto, il principe sposa la sorellastra per colpa della matrigna la quale strappa un lembo della tendina della carrozza facendo entrare la luce del sole. Nella figura meravigliosa della donna-serpente si può rintracciare il simbolo della riunione ciclica dei contrari: l’uroboro è forse il prototipo della ruota primitiva zodiacale, l’animale-madre dello zodiaco. L’itinerario del sole era primitivamente rappresentato da un serpente che portava sulle squame del dorso i segni zodiacali, come mostra il Codex vaticanus. Ma l’immagine del serpente è anche lo sviluppo delle potenze di perennità e di rigenerazione nascoste sotto lo schema del ritorno, come simbolo di fecondità. Infatti, la donna-serpente è costretta a far comparire in un battibaleno un palazzo, una fontana con quattro rivoli, far fiorire un giardino pieno d’aranci! In ogni caso, essa appare come la trasformazione medievale di una dea-madre, che opera per la prosperità rurale e la costruzione. Le Goff sottolinea che il volto storico di Mélusine è legato ad una congiuntura economica: dissodamenti e costruzioni, dissodamento poi costruzione. Melusina, è la fata del decollo economico medievale”, soggetta alla cronicità. Altri studiosi hanno dedicato alla figura della donna-animale, una grande attenzione, intravedendo in essa l’origine e l’emblema della stirpe, e hanno riproposto il problema del totemismo.
VASHZA GJALPER
Nj’hér ish e motra me t’vllàn. I jati e a jëma i kishen vdekur e kishen t’njerken. Kjo vashza kish fatin se sa t’e ngit dielli bëhej gjalper. I vllaj e nxìr mbrëmanet kur perëndonej dielli. Prana e pà i biri rregjit e i tha t’ vllaut se e duaj per nuse. I vllai ja tha dreq se e motra nëng mund dil me diellin n’mos bëhej gjalper. I biri rregjit ju pergjegj:
– U e nxier kur hìn dielli.
Pra kùr vate e muar, dhëndrri qelli karrocen e mbullijtur. E njerka tek karroca mbullijtur bën e u hip edhé e bila. Udhes e njerka shquar palacen e karrocs, vashzen e ngau dielli e u bë gjalper. Gjalpri u kallàr ka karroca e vate nën njëj guri. Te pllasi për nuse qelli t’bilen. Dhëndrri nëng u adunàr. I vllai nga dita venej e hanej me t’motren. Atò e dijen se aì trimi venej e hanej me t’motren e nj’dit i thàn:
– Ti, Pjeter, per gjith menat ké t’bësh të na gjëndet nj’pllas, n’mos na t’vrasmi.
Aì u nis e vate tek e motra e ja rrfiejti. E motra ju pergjegj:
– Vllau im, mos u llav se per menat njize pllasi ësht i bën.
Menatet atò u mbjuan me haré kur e pàn. Pra te jetra dit i thàn trimit:
– Ti, Pjeter, ké t’bësh të na gjëndet nj’krua perpara pllasit, n’mos na t’vrasmi.
Pjetri u nis e vate tek e motra e i tha:
– Motra ime, nanì duan edhé kruan perpara pllasit, n’mos thàn se m’vrasen.
– Mos u llav, ti vllau im, se menat, perpara pllasit i rrjedhen kater pishotul ùj.
E njerka e e bila, kùr u ngrén menatet e pàn kruan, u mbjuan me haré. Prana i thàn papà:
– Pje’, per gjith menat kà t’na gjëndet perpara pllasit nj’kopsht pjot portigale, n’mos t’vrasmi.
Aì, i nëmuri, u nis e vate tek e motra e i tha:
– Motra ime, atò duan se per gjith menat kà t’i gjëndet perpara pllasit nj’kopsht pjot me rrëmba portigalje, n’mos m’vrasen.
– Ti vllau im, mos u llav fare se jam u ç’llavem per tij. Ec me shndet se menat kàn edhé portigalet.
E bila pat nj’djal. T’dia, e jëma e e bila, thojen:
– Neve djalin na e zë ndënj gjalper, po kem i thrresmi Pjetrit t’vras gjith gjalpret ka do jàn.
Kshtu i thrrit’tin Pjetrit e i thàn:
– Ti Pjeter, ké t’bësh nj’zjarr t’math perpara pllasit e ké t’përshllosh me kët fishket e kan mbijdhen gjith gjalpret ka do jàn e kàn digjen.
Pjetri, murgu, pnxoi:
– E kshtu digjet edhé ime moter!
U nis e vate tek e motra e i tha:
– Moj motra ime, m’thàn, e jëma e e bila, se kam t’bënj nj’zjarr t’math e kam i frinj fishketit se kan mbijdhen gjith gjalpret kadò jàn e perpara pllasit kam i djeg.
– E pse?
– Trëmben se ndënj gjalper i zë t’birin.
– Ti vllau im, mos u llav fare. Ti nd’mest zjarrit vër nj’vuc hekuri me ùj se u hìnj mbrënda e nëng digjem.
Pjetri, u pruar, e perpara pllasit u vù e përshlloi e u mbjothtin gjith gjalpret ka do ishen. Kùr atò pàn gjalprin e zì se ish e venej mb’ zjarr, u mbjuan me haré. Pranadhin mbrëmanet kùr u shua zjarri, i vllai nxuar gjalprin e zì e fshehu nën mandjelin e u ngjit lart ndë pllat. Rregji i tha:
– Qofsh bekuar, ti Pjeter, çë na bëre gjith kto t’mira.
Ju pergjegj Pjetri:
– Nëng i bëra u se i bëri ime moter.
Hapi mandjelin e i buthtoi gjalprin e zì. Pra e lshoi mb’truall e gjalpri u bë kopile. Rregji kùr njohu se ajò ish nusja, po e njerka e kish tradhirtur, i tha vashzes:
– Zgjith ti, kam i vras o kam i perzë kto mizore?
– Kàn t’i lidhjen te bishti di kuelve e kan t’i xarrisjen udhvet.
Kshtu vashza vù kuròr t’birin e rregjit e qindroi kutjend me t’shoqin e me t’vllàn.
LA RAGAZZA SERPENTE
Vivevano una volta una sorella e un fratello con la matrigna perché la loro madre era morta. La ragazza, alla luce del sole, diventava un serpente e così il fratello doveva portarla a passeggio al tramonto. Il figlio del re la vide e la chiese in sposa al fratello. Questi gli spiegò che essa non poteva uscire col sole, altrimenti sarebbe diventata un serpente. Il figlio del re rispose che l’avrebbe fatta uscire al tramonto e andò a prenderla per condurla a nozze con una carrozza chiusa. Ma la matrigna portò anche la propria figlia e, durante il tragitto, strappò un lembo alla tenda lasciando entrare nella carrozza un raggio di sole: così la ragazza si trasformò in serpente, scivolò per terra e andò a nascondersi sotto una pietra. Alla reggia fu presentata come fidanzata la figlia della matrigna. A cena la matrigna disse al figliastro:
– Pietro, entro domani vogliamo un palazzo, altrimenti ti ucciderò.
Il ragazzo andò dalla sorella e le riferì l’assurda richiesta.
– Fratello mio, non ti preoccupare, – essa rispose – perchè entro domattina il palazzo sarà costruito.
La matrigna con la figlia furono felici quando lo videro, ma pretesero per il giorno dopo una fontana davanti al palazzo. Pietro andò dalla sorella, la quale lo rassicurò ancora:
– Non ti preoccupare, fratello mio, perchè domani davanti al palazzo scorreranno quattro rivoli d’acqua.
E la mattina dopo si videro le fontane. Ma quelle due, non contente, dissero a Pietro che volevano un giardino pieno di aranci. E anche questo fiorì, il giorno seguente, davanti al palazzo. Dopo un po’ di tempo, la figlia della matrigna diede alla luce un bambino. Per timore che qualche serpente potesse morderlo, chiamarono Pietro e gli dissero:
– Pietro, tu devi accendere un grande fuoco davanti al palazzo, poi devi prendere questo fischietto e suonarlo affinché si radunino tutti i serpenti, da qualunque parte si trovino, e poi bruciarli. Lo sventurato Pietro pensò che si sarebbe bruciata anche la sorella. Andò a trovarla e le raccontò il fatto. Questa gli rispose: – Non preoccuparti: poni in mezzo al fuoco un barile di ferro pieno d’acqua, così io mi nasconderò dentro e non mi brucerò. Ritornato davanti al palazzo, Pietro suonò il fischietto, radunò tutti i serpenti e li bruciò, con grande gioia delle due malvage donne. Giunta la sera, il ragazzo prese il serpente nero e lo nascose sotto il mantello. Quando si recò al palazzo, il re gli disse: – Grazie, Pietro, di tutto quello che hai fatto.
– Non sono stato io, ma mia sorella.
E mostrò il serpente nero che ritornò per sempre ragazza. Il re la riconobbe e si accorse del tradimento. Allora disse:
– Devo ucciderle, queste crudeli, o mandarle via?
La fanciulla rispose:
– Legatele alla coda di due cavalli e fatele trascinare per le strade della città.
Poi si sposarono e vissero felici.
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