Mario Bellizzi: ELOGIO DI LUNGRO, COMUNITA’ ARBERESHE
Si può dire che i popoli hanno un carattere? Si possono definire con un aggettivo? Che sono cattivi, buoni, orgogliosi, romantici, guerrafondai… Sarebbe un esercizio vano, forse ingeneroso. Tuttavia io voglio tentare una definizione degli arbëreshë di Lungro, secondo i miei stereotipi, naturalmente: i lungresi / ungërnjotë sono (erano?) un popolo con la musica e la ribellione nel sangue, le cui lotte sociali ed esistenziali avvenivano con la spavalderia di una gioiosa tragedia.
Ecco alcuni versi di questo popolo.
Kishnja etë e vajta mbë krua,
piva e zjarri ngi m’u shua!
Nëng ish etë çë dishironja,
ish pokondrì çë vajzin donja!
… U kisha një zëmir e ti mall m’e more,
nani ti je me di e u jam pa fare.
… M’e shpove zëmrin me atà si të thellë,
m’u mbraz gjith gjaku e ket zëmra më qindroi.
Avevo sete e mi recai alla fontana,
ho bevuto ma non la placai!
Non era sete da zittire,
ma l’ipocondria mi faceva
ardere per una ragazza.
Avevo un cuore e tu amore mio l’hai preso,
ora tu ne hai due e io sono rimasto senza.
Mi hai trafitto il cuore con i tuoi occhi profondi
si è riversato tutto il mio sangue
fermandosi nel cuore.
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Shkove një jetë tue ruajtur sytë e gjindjas,
mund jet se syu është i vetëmi
vend i trupit ku qindroi shpirti.
Ho passato la vita a guardare
negli occhi della gente,
è l’unico luogo del corpo
dove forse esiste ancora un’anima.
(José Saramago, Cecità).
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