Moj e bukura More/Mario Bellizzi: MATERIALI ETNOGRAFICI ARBERESHE
IL CANTO “E BUKURA MORE” PER LA PRIMA VOLTA SI TROVA NEL FAMOSO MANOSCRITTO DI CHIEUTI NEL 1708.
Dokument i kësaj kënge për herë të parë gjendet në dorëshkrimin i Kieutit botim i vitit 1708, më pas këtë material do ta ribotonte në librin e tij filologu arbëresh Dhimitër Kamarda (1821-1882), në vitin 1866. Në këtë lëndë është publikuar teksti i kësaj kënge i shkruajtur në shqip, por me alfabet grek.
Moj e bukura More
si të lash e më ngë të pash
Si të lash, si të lash
siç të gjeta ngë të lash
Atje kam unë zotin At
atje kam unë zonjën Mëmë
atje kam dhe tim vëlla
gjithë mbuluar
të gjithë mbuluar
të gjithë mbuluar nën dhe
Ah e bukura More
Botim i këtij libri u realizua në Itali në vitin 1866 nga shtëpia botuese “F. ALBERGUETI E.C.” , i cili mban si titull: “Appendice al Saggio di Grammatologia Comprata Sulla Lingua Albanese” përgatitur me shumë kujdes nga filologu arbëresh Dhimitër Kamarda (1821-1882), duke pasur për bazë dorëshkrimin e Kieutit (1708). Papa Piu II i shkruante Dukës së Burgonjës, Filipit: “Nuk mund t’i shohë njeriu pa derdhur lot këta refugjatë nëpër limanet e Italisë të uritur e të zhveshur, të shpërngulur nga vatrat e tyre që rrinë anës detit e ngrenë në qiell duart. Qajnë e vajtojnë në një gjuhë që s’ua marrim dot vesh”.
La prima testimonianza scritta di questa canzone la troviamo nel manoscritto di Chièuti (prov. Foggia) pubblicato nel 1708; il manoscritto rimase a lungo inedito, assieme a molte altre opere di Nicolò Figlia [nacque a Mezzojuso da Andrea e Caterina il 14 maggio 1693 e fu battezzato due giorni dopo coi nomi “Rosario e Nicolò”. Laureatosi in S. Teologia, fu ordinato sacerdote a circa 25 anni e quasi subito, dietro invito del Marchese del Vasto Aquino ed Aragona, si trasferì a Chieuti in qualità di cappellano della Parrocchia di San Giorgio e dal 1724 la guidò in veste di Protopapàs]. Nel 1775, Nicolo Chetta compone il “Tesoro di notizie su de’ Macedoni” opera nella quale, per la prima volta, vengono citati alcuni versi della Bukura Morea in ottonario e assenza della rima, che sono le due principali caratteristiche della poesia orale arbèreshe. In seguito il materiale chieutino venne pubblicato nel 1866 dal filologo arbёresh Demetrio Camarda (1821-1882), dalla casa editrice F. Albergueti E.C , nel libro che si intitola “Appendice al Saggio di Grammatologia Comparata Sulla Lingua Albanese”. In questa opera il testo della canzone è scritto nel lingua albanese però usando l’alfabeto greco, che è l’unica versione del testo originale. Successivamente Michele Marchianò pubblicò il manoscritto, contenente il canto E BUKURA MOREA all’interno dei Canti popolari albanesi delle colonie d’Italia (Foggia, 1908). Papa Paolo II sul soglio ponteficio dal 1464 al 1471, così scriveva al Duca di Borgogna: « Le città che finora avevano resistite al furore dei Turchi sono oramai tutte cadute o in loro potere. Tutti i popoli che abitano lungo le coste dello Adriatico tremano allo aspetto di questo imminente pericolo. Non vedesi ovunque che spavento, dolore, captività e morte; non si può senza versare lagrime contemplare queste navi che partite dalla riva albanese si riparano nei porti d’Italia, e queste famiglie ignude, meschine, che scacciate dalle loro abitazioni stanno sedute sulla riva del mare stendendo le mani al cielo, e facendo risuonare l’aria di lamenti in ignorata favella ».
[Epistola Pauli II. ad Philippum Burgundiae Ducem. Apud cardinalia Papiensis Epistolas].
Secondo G. Schirò di Maggio, “O e Bukura More, prima di subire la rielaborazione ideologizzata del tardo romanticismo,
«faceva parte dei canti delle Russalle o feste patrie antiche» e veniva eseguito, soprattutto dagli Arbereshè di Sicilia, in occasione di alcune ricorrenze rituali.
A Palazzo Adriano era cantato sulla Montagna delle Rose verso la fine della primavera, ogni anno a giugno; nello stesso periodo a Mezzojuso veniva intonato sulla cima di una delle montagne che sovrasta il paese; a Contessa Entellina veniva eseguito sulla sommità della montagna che domina Santa Maria del Bosco e a Piana degli Albanesi, infine, nei giorni di Pentecoste, ai piedi della montagna della Pizzuta dove sorge la chiesa dell’Odigitria. Per il fatto che il canto veniva eseguito dall’alto di una montagna rivolta verso Oriente, in un periodo «che non va prima di Pasqua e oltre la fine della primavera», nonché per il fatto che esso celebrava la morte dei congiunti più intimi sepolti nella Madre-Patria abbandonata, rientrando nel ciclo dei canti delle Russalle. È agevole concordare con l’ipotesi di Francesco Altimari secondo cui ” l’origine di ‘O e Bukura More’ debba essere ricondotta alla tradizione con la quale nell’antichità, in Macedonia, in Grecia e in Italia,verso la fine della primavera, venivano commemorati i defunti”.
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