ANTONIO CATALFAMO: POESIE PER LA MADRE
Il Prof. Antonio Catalfamo – Docente Università di Messina – Poeta – Critico Letterario – Saggista. Studioso di Cesare Pavese. Sichuan International Studies University (Cina).
Antonio Catalfamo è nato a Barcellona Pozzo di Gotto (provincia di Messina) nel 1962. Docente universitario di Letteratura italiana e Letteratura italiana contemporanea, dirige un centro di studi internazionali sull’opera di Cesare Pavese, nella città natale dello scrittore piemontese, per conto del quale ha curato ventuno volumi di saggi critici, ai quali hanno collaborato docenti universitari di tutto il mondo.
Ha pubblicato diversi libri di poesie: Il solco della vita (1989); Origini (1991); Passato e presente (1993); L’eterno cammino (1995); Diario pavesiano (1999); Le gialle colline e il mare (2004); Frammenti di memoria (2009); Variazioni sulla rosa (2014); La rivolta dei demoni ballerini (2021).
I suoi studi critici spaziano dalla Scuola poetica siciliana di Federico II a Dante, Boccaccio, Leopardi, Verga, fino alla letteratura italiana del Novecento (Pavese, Pasolini, Carlo Levi).
Presepe
A Natale
preparavi il presepe
con le radici delle canne,
la carta d’imballaggio,
la farina al posto della neve,
i Re Magi ereditati dai nonni,
che sembravano enormi
ai nostri occhi di bambini.
Appena li mettevi a posto,
i pastori camminavano davvero
sulle montagne,
lanciavano fischi
per dirigere il gregge,
come li vedevamo la sera,
nel dormiveglia,
dietro la finestra.
Le contadine portavano
minestra appena raccolta,
ancora ricoperta di brina,
fichi secchi in panie,
salutavano ciarliere i passanti.
Il bue e l’asino riscaldavano
col fiato vaporoso
il Bambino, che sembrava uno di noi.
Solo una madre può compiere
questi miracoli per i suoi bimbi,
che gioiscono di piccole cose,
che racchiudono in sé
il mistero della vita.
Ciambelle pasquali
La nonna mandava
le ciambelle pasquali
con le uova colorate,
preparate assieme alla zia Mica.
Tu, gelosa custode
delle tradizioni religiose,
ci ripetevi ogni anno il motto:
«La gloria suonò,
la ciambella si spezzò».
Noi bambini aspettavamo con ansia,
la domenica mattina,
il suono delle campane a festa,
per inzuppare le ciambelle
nel caffelatte fumante.
Ora che tu e la nonna siete morte
non rinnoviamo più
i riti familiari.
Tutto un mondo è finito.
Inizia un’era novella
a noi sconosciuta.
Rimaniamo chiusi in casa,
possiamo comunicare
tutto a tutti, in un istante,
pigiando un tasto,
ma non abbiamo niente
da comunicare a nessuno.
In televisione
il santo padre celebra
la messa pasquale urbi et orbi,
ma tu non ci sei più ad ascoltare
e a sperare che possa aiutarti
a guarire con le sue preghiere.
Dialogo
Quand’eri viva
non riuscivo
a scrivere di te.
E’ sempre difficile
parlare di nostra madre,
perché è troppo importante
per noi.
Dopo la tua morte
ho instaurato con te
un dialogo sereno
nei miei sogni
e nei miei versi.
Ti vedo giovane,
al tavolo della cucina,
attorniata da me
e dai miei fratelli,
aiutarci a risolvere
noiosi problemi
di massaie che vanno
dal pizzicagnolo
a comprare salame
un tanto l’etto,
a imparare a memoria
lunghe poesie dominate
da ruralismo romagnolo,
pii buoi immobili
nei campi, come statue,
soldatini di piombo
pronti a cadere
come birilli
sotto le palle di cannone,
a disegnare
sui nostri quaderni
il sole, con gli occhi
e il sorriso sulle labbra,
per dare felicità eterna
agli uomini.
Anniversario
Non interrogo neanche
la Natura,
come l’Islandese,
perché conosco già
la sua risposta.
Sei morta,
madre mia,
ed io non ho potuto far nulla
per salvarti, per alleviare
con le mie carezze
le tue pene atroci.
Lo so che gli uomini
sono pulviscoli infinitesimali,
relegati in un cantuccio
della Via Lattea,
e che il mondo esisterebbe
anche senza di loro.
Ma io elevo alta
la protesta materialista
del Leopardi,
perché so anche
che l’uomo copernicano,
perduta ogni centralità,
si abbassa e si sublima,
riprende forza e slancio
e tante volte
ha sconfitto la Natura
nella sua storia plurisecolare.
Lezioni
Mia madre si sposò
troppo giovane
e non poté insegnare
nelle scuole.
Faceva da maestra
a noi figli,
sul grande tavolo della cucina,
nei pomeriggi d’inverno,
nel terrazzino
che dava sulla campagna,
nei giorni di canicola.
Ci insegnava
a disegnare il sole, la luna,
con gli occhi, il naso,
le labbra sempre spalancate
in un sorriso,
ci aiutava a imparare a memoria
le lunghe poesie,
che allora sembravano inutili.
Altri bambini del quartiere
si aggregavano alla nostra comitiva
di scolari prigionieri
e imparare diventava
più facile e allegro.
Mia madre ci offriva come premio
una fetta di marmellata di cotogne,
alta, solida,
che aveva fatto seccare al sole,
coperta da un velo,
per impedire a mosche ed api
di accostarsi.
Mio fratello Peppe
sembrava disattento,
preso dal gorgo
dei giochi coi compagni.
Ma poi, in estate,
quando, al buio,
in lieta brigata
con i genitori e i nonni,
facevamo la passeggiata serale,
immersi nella natura,
fino all’icona di San Giuseppe,
lungo il viale degli eucalipti,
ritornava all’improvviso
la memoria
e recitata ad alta voce
i versi della cavallina storna
che portava colui che non ritorna,
della lucciolina luccioletta
che aveva tanta fretta
di sottrarsi alle carezze
dei bambini,
spegnendo la sua luce.
Le lucciole sparirono per sempre,
cominciò un mondo nuovo,
grande e terribile,
e le nostre giornate furono
sempre più lunghe e noiose.