“AUTOPSIA D’IMMAGINE” DI MARIA TERESA LIUZZO
DI FRONTE A UN REALE AGGHIACCIANTE
GLI ASPRI DOLCISSIMI VERSI DI MARIA TERESA LIUZZO
di TERESIO ZANINETTI, Scrittore – Saggista – Critico letterario
Per svariate ragioni non ho potuto occuparmene in precedenza: ora cerco di assolvere il compito, anche perché il libro, ”AUTOPSIA D’IMMAGINE”, di Maria Teresa Liuzzo (nata a Saline di Montebello Jonico e operante a Reggio Calabria), merita pienamente un’attenzione particolare. Le varie pubblicazioni e l’interessamento della critica ne attestano l’importante collocazione che via via, l’autrice, viene conquistando nell’ambito del mondo letterario, poetico e culturale. La scrupolosa e profonda prefazione di Antonio Crecchia ha il pregio di avere individuato, fra le altre cose, ”i germi antenati della poesia della Liuzzo”: da Isidoro Ducasse di Lautreamont, con i celeberrimi ” Canti di Maldoror”, fino a ”i fiori del male” baudelairiani, fino, ancora, ad Apollinaire e talvolta a Machado. Ma, d’altra parte, questi non sono che aspetti -e neppure i meno visibili – di questa poetessa che ha il dono, forse innato, di addentarsi nel vivo della materia interiore per rintracciarne, si può dirle, proprio il cuore. E’ sicuramente anche per questo che Crecchia rileva: ” un fattore esperienziale che in vario modo condiziona la sfera psicologica della Liuzzo determinando in lei uno stato di tensione continua, di attesa, ma anche di paura, di angoscia, è il tempo. Visto nella sua accezione di estensione temporale, limitato al corso breve della vita, il tempo, senza perdere la sua ricca caratterizzazione concettuale, acquista una precisa identità, una consistenza filosofica in rapporto diretto con l’intuizione e la memoria: la prima fornisce la coscienza chiara di un intervallo unico, irripetibile, contro cui l’essere può aspirare alla realizzazione di sé stesso mediante la messa a punto del proprio progetto di vita, di pensiero, di azione e di relazioni”. Si trovano in queste pagine, momenti di alta liricità in cui le immagini sembrano scardinare tutto ciò che l’emozione fa prorompere per portarla alla superficie, come su un vassoio vellutato. E’ la ricchezza peculiare di questa autrice, che ha affondi totali, mai trattenuti, ma anzi, come spigolati uno ad uno nella propria dimensione evolutiva. Vi sono florilegi che illuminano con pienezza il grumo – cardine contenutistico, di questa poetica che ha radici che si diramano un po’ ovunque e in varie epoche. Ad esempio in ” dove al linea si divide” (pag. 58), i versi si sgranano limpidi e precisi, incisi con la forza dell’espressione ribollente, impetuosa, decisa. ” Calma apparente / è questo dolore raffermo: / siamo l’attimo / senza domani né ieri. / Si spezza la collana / della speranza, / le perle si disperdono / nella fuga del sentire. / Sfugge ogni logica / dove la linea si divide / in segmenti sghembi / e noi siamo sfere / su piani diversi. Parliamo al vento, /: quando l’alba ha il colore del sangue / e le ugole non hanno suono”. I versi conclusivi hanno il sapore aspro di un risveglio in cui i sogni scolorano, impietriti e muti, di fronte ad un reale agghiacciante. Medesima atmosfera troviamo in ”Stille che accendono” ( pag.61 ), i cui versi iniziali trasmettono la consapevolezza e la pena di un tempo che non è diverso da quello tradotto e trascritto dal Rimbaud del ”Tempo degli assassini”: ”Ti attraverso fra i pugnali della sera / ed è amara la speranza, / sempre nuovo l’inganno; / ma il dolore non pesa, se nasce / dal desiderio di vivere e nessuno / ingabbia l’amore”. In effetti sappiamo che l’amore è una forza che conquista, che trasforma tutto, che vince su ogni cosa. E il sentirsi partecipi, simpatetici, in sintonia con molteplici persone, rende audace e grandioso il proprio esserci, il proprio esistere. Scrive lo psicanalista americano James Hillman, in proposito, ne ”Il Potere – Come usarlo con intelligenza” (Ed. Rizzoli, Milano, settembre 2002, pag.295, Euro 16,50): ”L’intimorire, il sadismo e la presa della mano che afferra non si trasformeranno mai del tutto nel palmo della mano che accarezza e benedice. La voce che sale dalle ceneri di Aushwitz (o di Treblinka), che rappresentano il culmine della cultura eurocentrica, dice che ” il mondo è governato dal potere”. Un’affermazione però immediatamente contestata da un’altra voce secondo la quale il mondo è governato dall’amore ed è per questo che restiamo scioccati ogni volta che il potere vuole avere il predominio. Sentiamo, nel nostro cuore, che il mondo non può essere davvero così perverso e violento e che l’amore, che non mostra la sua mano come fa il potere, muove tutte le cose dall’interno e da dietro, impercettibilmente, invisibilmente. Il potere può fare mostra di sè, imperversare, imprigionare, ma l’amore fa si che i valori resistano, durino. L’amore conquista tutto”. E’ qui, in questo concetto primario che prende vita e slancio il poetare di Maria Teresa Liuzzo. Addentrarsi nel suo mondo poetico significa penetrare, a un tempo, in un’oasi o in un inferno. ma l’oasi ristora, e l’inferno si addolcisce. Annota Antonio Crecchia, riallacciandosi a Leopardi, Mousset, Byron: ” La poesia diventa, nella filosofia degli opposti, l’unica sintesi possibile che giustifichi la sopportazione del male di vivere”. La poesia di Maria Teresa Liuzzo è un solco aperto nel mare della stupidità e dell’ignoranza, dell’insensibilità coatte. Lo afferma anche Giorgio Bàrberi Squarotti, forse il più preparato e attento studioso e critico di poesia contemporanea, in una lettera all’autrice:” Il suo discorso poetico è ora fortemente immaginativo, colmo di metafore e visioni, nella sua essenzialità perfetta. Ora la sua poesia è davvero grande”.