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L’ultima raccolta poetica, in ordine di tempo, di Maria Teresa Liuzzo

 

VINCENZO GUARRACINO

 

Non so se Miosotide (Non ti scordar di me) sia l’ultima raccolta poetica, in ordine di tempo, di Maria Teresa Liuzzo. Certo è che questa silloge, edita nel 2009 dall’Editrice A.G.A.R. di Reggio Calabria, si presenta subito, a partire dalla veste editoriale che esibisce in copertina una riproduzione di un celebre dipinto di Jacques Louis David, “Saffo e Faone”, e sul retro una suggestiva foto dell’autrice, con i crismi di un’opera che, ponendosi sotto il segno dei sentimenti, non fa mistero nelle 88 poesie, di cui è composta, della sua particolare incandescenza tematica ed espressiva e li esibisce fin dall’apertura, addirittura dal primo testo, con quel “cuore” che si libra in volo e ”risorge e muore in croce” in una perenne ansia metamorfica, tra slancio e ansia sacrificale, prima di rivendicargli subito appresso, nel testo successivo (Nel buio apri la porta più segreta), il ruolo di spazio protetto e gelosamente custodito della propria stessa essenza umana, in una temperie letteraria ricca di echi che nei suoi testi fanno capolino nemmeno troppo gelosamente dissimulati.

Già altra volta mi era capitato, in un giudizio espresso a proposito di un’opera precedente (credo Genesis del 2008), di evocare per questa poetessa aure ungarettiane e soprattutto leopardiane (pensavo già allora al Leopardi del Primo amore, in particolare ai versi laddove il Poeta fissa in maniera paradigmatica i valori che segnano e sorreggono la sua vita: “Solo il mio cor piaceami, e col mio core / in un perenne ragionar sepolto, / alla guardia seder del mio dolore”, vv.82-4).

Come non pensare ad esempio alla “docile fibra / dell’universo” dell’Ungaretti de I fiumi dinanzi alla definizione che di sé dà, nella raccolta in questione, la Liuzzo nel testo intitolato Venivano talvolta da lontano, ossia “frammento d’eterno nell’universo”, concetto ribadito nell’ultimo testo, “un frammento di eterno” (Solo di te è colma la mia attesa), dove la Poetessa si vede proiettata sugli scenari di un’intera vita dedita all’amore e alla poesia?

Come non sorprendersi, oggi più di ieri, proprio alla congiunzione solitudine-pensiero, che permea tanta parte del testo leopardiano citato, con l’amore, in presenza o in assenza, a farla da padrone, e il cuore, interpretante significativo ed essenziale, a scandire sotto il segno del ricordo, evocato dal titolo dell’intera raccolta, con i suoi inquieti battiti lo scorrere stesso del tempo, di fronte ai generosi impeti lirici, inscritti ad esempio nella poesia intitolata Sedevo sotto un salice, compresa in questa silloge?

Leggiamolo, questo testo: “Là dove l’acqua cade / invitante e a confortarmi / seguivo fantasie, / non so se finzioni o realtà. / Chi nel cuore / ha una sola speranza / che non si avvera / langue infine / come eliotropio vizzo / specchio esangue del sole. / Chi fissa il desiderio / su un capriccio / e nel bene  e nel male / vi si aggrappa / farà naufragio: / che affondi o nuoti / che raggiunga / o manchi lo scopo. / È vano tutto quello / che sorge e che tramonta / su cui sprechiamo il fiato”.

Al di là del titolo, Sedevo sotto un salice, in cui compare il tema della meditazione “assisa”, quella che la critica (in particolare, il De Sanctis) identifica in Leopardi come scelta di una postura da “bramino” in attesa di una essenziale illuminazione, colpisce nella parte conclusiva il tema del naufragio, il rischio consapevolmente accettato che dall’Infinito si trasmette a questo testo e che qui, nella Nostra, si configura come esperienza da esorcizzare, contro ogni rischio di dispersione e spreco, contro lo spettro incombente della precarietà e della vanità del tutto, con un’apertura alle infinite possibilità della vita, a ciò che dà senso e colore all’esistenza, sotto il segno di un legame forte, dando voce a una piena di sentimenti appagante, al di là della loro realizzazione, che, inscritto nel “cuore”, vive sotto il segno di quello che Leopardi de Il pensiero dominante evocava come “dono del ciel” e come “dolcissimo, possente / dominator” della sua mente, ossia l’Amore.

È proprio dell’Amore come risorsa per esorcizzare naufragio e dispersione, per sottrarsi allo spettro della precarietà dell’esistenza e al baratro della vanità, che l’Autrice parla a più riprese: dell’amore per il Creatore, ma anche di quello per tutto ciò che di bello e affascinante offre la vita, per le creature, non meno che per l’uomo della sua vita, per l’”unico uomo” amato, e soprattutto per la Poesia, cui chiede il dono di essere corrisposta integralmente, della stessa misura.

Ecco allora l’Amore per il Creatore, cantato in un testo di grande afflato emotivo, posto giusto all’inizio della raccolta: “Dio, eterno e sconosciuto, nel silenzio / T’ascolto e un segno Tuo tra le mani / ricerco, mentre il cuore è giara vuota / da colmare. / Ineffabile amore a Te mi lega, che mi avvince e fonde nella Tua luce. / Anche altro amore dà senso alla vita, / ridesta i sensi, dà nuovo vigore, / fa che noi vogliamo, coraggio imprime, / è fuoco e frescura, estasi e tormento, / ma vita sempre, luce nelle notti / più oscure …” (Dio, eterno e sconosciuto, nel silenzio).

Un amore ineffabile e forte, quello che la lega al Creatore, dunque, ma non meno forte di questo è quello che “dà senso alla vita” e che “ridesta i sensi”, l’amore dichiarato dall’Autrice per l’uomo della sua vita, l’”unico uomo”, che ha acceso e “svelato i misteri” del sangue, della passione (Dio, eterno e sconosciuto, nel silenzio).

Amore mistico e spirituale, dunque, ma anche amore sensuale, passionale, terreno, quello che secondo l’antico poeta omnia vincit (che la Liuzzo significativamente parafrasa e traduce “solo l’amore vince”, in Ascolto una voce) e che come una “gemma” arricchisce la vita: sentimento che ridesta i sensi e dà nuovo vigore, amore ch’è fuoco e frescura, “estasi e tormento”, che “nell’intrecciarsi dei corpi, in un unico abbraccio”, fonde cielo e terra, “spirito e carne”, dando alla creatura il senso di una totale comunione con cosmo (Si versano parole sulle siepi), con accenti che richiamano il biblico Cantico dei Cantici (“Alla sua ombra, cui anelavo, mi siedo e dolce è il suo frutto al mio palato”, dice in un altro testo).

Si diceva prima dell’Amore che sembra tutti gli altri contenerli, ossia l’amore per la Poesia, che la Poetessa riconosce di essere il suo grande, vero “amore segreto” (Vivo nel bianco della pagina) e cui perciò chiede il dono di fortificarla e sorreggerla, oltre che di corrisponderla integralmente, della stessa misura.

Eccone una che tutti motivi efficacemente li condensa e riassume: “Amami, poesia / mia libertà e prigione, / nel cipresseto / della clausura, / amami sempre. / Io che di te mi nutro / e mi coloro, / il velo getto dell’ipocrisia. / Cogli le perle / sciolte fra le ciglia. / Amami come un gioco, / nella passione muta / del mio grembo, / nel passo silenzioso / della sera. / Come la capinera / apriti al pianto e spegnilo / e a me sorridi / e toglimi alle morti notti. / Piuttosto dammi / un cielo stellato, / perché in te io legga l’universo, / ma non risparmiare / alla mia carne la croce / dei miei segni, ché da essa / trae vita la parola” (Amami, poesia). E ancora, più avanti: “Amami, come t’amo, poesia, ma non per dare / al cuore l’illusione / di lambire / e intuire l’eterno. / Attraversami, / piuttosto, con dolore, / sì ch’io apprezzare / possa ogni gioia / ed amare senza egoismo, / ma per donarmi / come tu ti doni” (Amami ancora).

Si parlava in apertura del “ricordo”, che evocato dal titolo stesso dell’intera raccolta, si rivela come il lievito essenziale di questo suggestivo mondo poetico, per il quale, non meno di tanti altri autorevoli critici, tra i quali il compianto Giorgio Barberi Squarotti, tra prefazione e postfazione, in una riflessione di forte impatto ermeneutico spende parole non casuali e occasionali Mauro Decastelli, ponendo tutta la poesia della Liuzzo sotto il segno della “storia intima” per sottolinearne l’intima coerenza nel tempo, come un “passo verso la Verità” dell’Io. Val la pena, per concludere, citare proprio questo passaggio: “È il diario, il journal sul quale si sviluppa, pagina dopo pagina, un’educazione amorosa e un sentimento del numinoso che la personalità della poetessa registra parola dopo parola, segno dopo segno, contrastando la disgregazione dell’Io”.

“Una storia intima”, messa in scena con forte coerenza espressiva e forza sentimentale per “contrastare la disgregazione dell’Io”: è in questi termini che si può comprendere e concludere questo percorso. All’Autrice l’augurio più sincero di poterlo continuare, questo dialogo con se stessa e con i lettori.

 

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