Albspirit

Media/News/Publishing

”AUTOPSIA D’IMMAGINE” di MARIA TERESA LIUZZO

LA VOCE DEL TEMPO, CHE TORNA OGNI TANTO A TURBARCI NEI SOGNI

 

Prof. ITALO BONASSI, Poeta – Saggista – Critico letterario

 

 

Un termine non più usato, sguardare, stava ad indicare un certo modo di osservare le cose, la natura, la realtà fuori e dentro di noi, nella nostra coscienza, ma con maggiore attenzione, con lo sguardo incantato e riflessivo del poeta. Un guardare attento oltre i piccoli e i grandi orizzonti della natura – dell’anima -, con occhi che sono come sentinelle appostate in attesa dell’apparizione di presenze tra il reale e il fantastico, e che fanno parte del mondo fascinoso del poeta. Scriveva Ferdinando Pessoa: Il mio sguardo è nitido come il girasole. / Ho l’abitudine di camminare per le strade / guardando a destra e a sinistra, / e talvolta guardo dentro di me. / E ciò che vedo ogni momento / e ciò che non avevo mai visto prima… / So avere lo stupore essenziale / che avrebbe un bambino se, nel nascere, / si accorgesse che è nato davvero. Scrive Maria T. liuzzo in ” A giorno finito”: Parlami della morte, / prezzo della vita, / di questo motore / che arde e s’estenua. / T’accarezzo, polvere, / t’allontano e ritorni, / voce di un tempo, dal silenzio. / La notte è bambina / con screpolate mani; gli avvoltoi / nidificano nelle orbite, / vuoto è il suo grembo. / Talvolta è l’ignoto, / mente che non percepisce, rosse labbra, / febbre che divora. In questa bella poesia, l’autrice scolpisce una figura emblematica, la notte, simbolo dell’ignoto che sta anche dentro di noi. Con gli occhi di dentro del poeta, la Liuzzo contempla le sentinelle della notte, le presenze tra il reale e il sognato, dove s’annida anche la voce del tempo, che torna ogni tanto a turbarci nei sogni. Frequenti, nei versi di questa poetessa, le espressioni forti e drammatiche, ele parole si fanno metafore, ossimori, che danno alle cose un volto che altrimenti rimarrebbe celato. Lacrima di luce è la speranza / che sorge in bara d’avorio: giace / la disperazione della gioia / tra fili d’ombra e silenzi. Non pare di intravedere parole di fede,di speranza cristiana, nelle poesie della Liuzzo. O forse la sua fede non ha bisogno di parole, si manifesta dentro di lei, nella sua coscienza. Il suo apparente disagio esistenziale pare portarla ad una sorta di pessimismo, vissuto con forte intensità, ma un pessimismo costruttivo, che la spinge a cercare fuori dal suo io, fuori dalla sua solitudine, a cercare la libertà dell’esistenza, a sfuggire alla notte, così spesso e con tanto calore ricordata, che la invade come una marea in attesa del plenilunio. La notte, le ombre, la memoria, l’oblio, il tempo, sono, col silenzio, le tematiche più frequenti di questa poetessa. Tematiche tutt’altro che consolatorie, attraverso le quali ella cerca senza querimonie né tragici interrogativi, ma quasi con distaccata constatazione, di andare alla ricerca del filo di Arianna del Verbo fatto non carne ma creazione semantica, messaggio – scrittura della voce della sua anima. E questo, alla luce e al buio delle sue lampanti illuminazioni e delle sue oscurissime notti…

… Ed io un giardino / intravedo / dove la rosa fiorisce / nel suo inferno di spine. Nel mondo della Liuzzo, la poetica soavità della rosa, simbolo delicato d’amore e di passione, diventa allegoria di un inferno di spine. Non profuma, ma punge, non è fonte di serenità ma di dolore. Dicono che le parole della poesia abbiano bisogno di grandi margini bianchi, di ampie metafore di silenzio. La poesia della Liuzzo ha in effetti un silenzio di stigmate della sofferenza. L’anima / nel bosco della luce / attende oltre il sentiero / dei serpenti, / ma noi il tempo / siamo del fuoco. Non vedo però nei suoi versi un atteggiamento autodistruttivo, in antitesi permanente con il mondo. Vedo una profonda e straordinaria coscienza di sé, cui manca soltanto il conforto della fede, una fede qualsiasi, un qualcosa cui credere, una parvenza di un Dio, anche piccolo, o anche di un non -Dio. Qualcosa per cui interrogarsi e cercare in sé una risposta. Perché non basta la poesia per alleviare l’assenza del corpo e la coscienza dell’abbandono.

 

 

Please follow and like us: