IL RAPPORTO DI MARIA TERESA LIUZZO CON LA POESIA
di SALVATORE STATELLO, Critico letterario – Saggista – Traduttore
Generalmente quando si legge un libro, si dovrebbe cominciare dalla copertina iniziale sino a quella finale, passando evidentemente per tutte le pagine. Spesso siamo attratti dai volumi per la bellezza delle loro copertine e, successivamente, così sedotti da acquistarli. E’ il caso di Miosòtide di Maria Teresa Liuzzo. La copertina dell’elegante volume ci attrae e ci seduce immediatamente, per i bei colori che Jacques – Louis David ha saputo dare al quadro, che nel suo tardo razionalismo neoclassico, accennando anche ai primi languori romantici, rappresenta Saffo, la poetessa dell’amore per eccellenza. Ma sotto, nel blu cupo che fa da sfondo alla copertina, un blu più chiaro, quasi inosservato, ecco il miosòtide (mysotis), il piccolo fiore, dimenticato anche dal Padreterno, secondo una delle leggende, al momento di assegnare il nome a tutte le cose create. E il piccolo fiore umiliato, perché trascurato, “non ti scordar di me”, chiede al buon Dio. E questi, forse a corto ormai di onomastica, gli risponde, “non ti scordar di me”. A parte la leggenda del nome, già nella copertina abbiamo la sintesi del volume: l’amore passionale, rappresentato dai forti colori, e il piccolo fiore, simbolo di delicatezza e di fragilità: ciò che è sempre l’amore. Ma nella copertina finale abbiamo il ritratto della poetessa. Il suo sguardo magnetico e accattivante che ci seduce perché è di una sensualità, d’innocenza, di passione e di fugacità. Poiché ad apertura del volume non leggiamo alcuna dedica, “non ti scordar di me” la Poetessa lo chiede a ciascuno dei suoi lettori; dunque, la silloge è dedicata a loro. Al giudizio critico di Giorgio Bàrberi Squarotti, seguono la nota del compianto Paolo Borruto, già direttore di LE MUSE, la prefazione di Mauro Decastelli, le liriche, poi ancora Decastelli e altri giudizi critici insigni. Le poesie formano un unicum poema d’amore,e come accennato pure da Decastelli, simile al Cantico dei Cantici, è una sequenza quasi ininterrotta, e che come nel Bolero di Ravel, mentre si procede all’ascolto, si ha sempre una dilatazione dello spirito e del godimento. E proprio come il Bolero, giocato su poche note, così questo “poema” procede con un’intensità sempre maggiore, coniugando l’amore nelle sue variegate sfumature. La lirica di Maria Teresa Liuzzo è, inoltre, una poesia scultorea, palpabile, carnale, ma dai sentimenti sinceri e delicati. Il canto d’amore, generalmente, è accompagnato da thanatos. Ma qui thanatos, quasi quasi, non esiste. E’ velato.
Più che la morte, si nota talvolta l’assenza dell’amato, per cui subentra il ”desio” e l’attesa: “l’angoscia dell’assenza/il senso della perdita del bene” (su questo concetto, spero di ritornarvi in un’altra occasione), poiché “…l’amore/… è spesso sanguinante/ma non muore”. L’amore espresso in questa silloge è stato abbastanza evidenziato ed analizzato da lettori/critici, senz’altro, più bravi di me. Per questo motivo vorrei mettere in luce la bella capacità della poetessa di evocare plasticamente ciò che è astratto: la Poesia, come quid ontologico. Ho accennato alla plasticità di essa, e Maria Teresa personifica la Poesia, che è “libertà e prigione, nel cipresseto/della clausura”. Ed è in questa solitudine di anima pura, che di essa si “nutre” e si “colora” gettando il “velo… dell’ipocrisia” tra “falsa umanità (dove) i nuovi mercanti” profanano “questo tempio/che è il mondo”. E in questo mondo popolato da uomini perversi, che hanno tradito la loro natura, a Maria Teresa non resta che chiedere accoratamente, sempre alla Poesia, di essere amata e che essa continui ad ispirarle sempre il canto con “saggezza” e “follia”, i due antipodi dell’ispirazione. “Amami con saggezza/e con follia,/amami poesia,/amami sempre!/Sii la mia voce, intelletto/e sangue” per essere sommersa dall’onda delle maree dell’estasi. E questa estasi dovrà essere “un cielo stellato” non solo per essere contemplato, ma affinché attraverso la poesia che esso ispira il vate possa leggere, tra tanta bellezza e armonia, gli imperscrutabili misteri dell’universo. E nonostante questa ”conoscenza”, la poetessa non chiede che le si risparmi la “croce” alla sua “carne”, “ché da essa/trae vita la parola”. La “parola” poetica è dunque generata dall’esperienza del dolore. La “riflessione poetica” si fa più profonda al punto da richiamare in certi momenti il ”vanitas vanitatum” dell’Ecclesiaste, “E’ vano tutto quello/che sorge e che tramonta/su cui sprechiamo il fiato”. Tutto questo accade, ricordando forse Platone, perché “l’anima… distaccandosi/dal cielo, (insegue) la sapienza degli uomini”, quella sapienza degli uomini folli, dimenticando che essa non è che “sciami di follia”, e gli esseri umani, nel perenne “panta rei”, non sono che “pianto in turbinio di petali”. A questo punto può sembrare che un certo pessimismo, misto a nichilismo, s’impossessi dell’animo della nostra poetessa. Ma no! poiché “l’amore forse/resiste, ha come scia i millenni/trascorsi”, tra tanti mali lascia anche l’orma che è la scia dell’amore, il quale, come sempre, vince anche il dolore e la morte. E, per di più, di quest’amore che “si rivela in essenza, ignoriamo/come fonda l’umano e il divino,/come si alternano estasi e tormento,/spirito e carne, in un unico atto”; anche se il mondo “è nel bocciolo/ tumefatto da crudeltà e menzogna” e che “non resta che l’ala/del corvo a volteggiare al tramonto/e la sera precede una fievole lanterna”. E grazie a questa “fievole lanterna”, anche senza “bussola né stella” polare, tra “le mille nebbie…/giunge il canto…” della Poesia, che come àncora di salvezza, in uno stato di “dormiveglia, tra la vita e il sogno” ingravida “di fantasie” la poetessa dandole quella linfa per continuare a vivere e a rigenerarsi “nel foglio bianco della pagina”, poiché ogni età/è come la prima/se l’amore nell’ideale / serra dell’anima fiorisce”. E in questo “vivaio dell’amore”, come si evince qua e là. c’è spazio anche per il divino, come quando “come Maria sotto la Croce”. Immagine -simbolo del sommo dolore, ma anche della massima accettazione della volontà divina in un totale abbandono di fede. A chiusura si può affermare che i temi poetici di Maria Teresa Liuzzo, in questa raccolta, affrontano i vari problemi umani, spaziando dall’amore (che ne è il fulcro principale) all’inanità della vita (forse per questo il miosòtide), dai comportamenti degli uomini alla religiosità e al mistero che avvolge l’universo e l’esistenza umana.