L’ONDA INQUIETA NELLA POESIA E NELLE VENE DI MARIA TERESA LIUZZO
… L’EPOPEA DI UN’ANIMA ANSIOSA DI LIBERARSI DAL PIATTO GRIGIORE DELLA QUOTIDIANITA’ E DAGLI ORRORI DELLA STORIA.
IL PENSIERO DI CHI LEGGE CORRE AD HEIDEGGER, QUASIMODO, LUZI… MARIA TERESA LIUZZO E’ ARRIVATA ALLO STESSO TRAGURDO.
Prof. PASQUALE MATRONE
Ezera Pound, ne L’arte della poesia, afferma: ” Non si può mai scrivere della buona poesia in una maniera vecchia di vent’anni, perché scrivere in una tale maniera mostra definitivamente che lo scrittore ricava i suoi pensieri dai libri, dalle conversazioni e dai clichés, e non dalla vita. ”E’ vero: non si può fare poesia usando a prestito strategie, abiti e modi mutuati da una dimestichezza più o meno lunga con la letteratura. Ed è proprio perché rispettosa di questo principio che la proposta artistica di Maria Teresa Liuzzo risulta convincente. Come nelle opere precedenti, anche nel poemetto ” … ma inquieta onda agita le vene”, edito dalla A.G.A.R. nel 2003, la poetessa calabrese dà prova di essere dotata di un patrimonio espressivo originale, dai cromatismi carichi di energia visionaria. Il suo, infatti, è un linguaggio fresco, naturalmente impregnato di metafore ardite, di sinestesie vorticose e di una musicalità capace di dare adeguata sottolineatura alla profondità e allo spirito del tema trattato. Il libro narra l’epopea di un’anima ansiosa di liberarsi dal piatto grigiore della quotidianità e dagli orrori della Storia. La visione del mondo è amara. Lo si evince da certe tracce che spargono cenere nel cuore: Abele estinto, Caino immortale; verità in esilio; volontà e parola schiavi in mano di aguzzini; l’Eden tradito; le spine sulla fronte del Cristo; i lager in Palestina; il sangue che dipinge cieli ed acque; l’alitare di corvi nell’improvviso fuoco della perfidia; la morte come meta del sogno; i grattacieli di fumo ad usurpare foreste; il futuro come miniera di solitudine; il dolore dell’uomo… Quanta crudezza nei versi: ” Anfora su galee inabissate / è la vita, nella sabbia sepolte, / presso la battigia… e sulla riva / madri e arcieri, tendono l’occhio / ai naufraghi”. Le cose stanno così. Prenderne atto è facile. Ma non basta a chi avverte la presenza di un’onda inquieta nelle vene. Non può bastare a chi con l’occhio dell’immaginazione sa di poter cogliere ricami oltre il rosso del fuoco, a chi sa di essere ago e filo dell’intelletto… Disincantata e, tuttavia, tenace Maria Teresa Liuzzo si lascia inebriare dalla sua fede nella scrittura: la poesia è il veliero adatto a solcare il mare tempestoso dell’Essere; lei, attimo nell’infinito, riesce a percepirsi come slancio vitale, come energia sgorgante da sorgenti invisibili, come indomita volontà di potenza, come viandante fiducioso di incontrare, quel Dio dell’Amore, presenza-assenza, che certamente c’è e che prima o poi, dovrà pur manifestarsi. E’ questo il motivo conduttore dell’opera. Quello che spinge l’artista a procedere nel suo cammino in cerca della bellezza e, con essa, della giustizia, del bene e delle placente di stelle destinate a restituire consistenza di vita ai sogni che emergono dal buio della coscienza. Difficile andare per il mondo: calarsi nell’effimero, nelle contraddizioni e nelle brutture di una realtà tormentata dall’odio e dal sangue; basta guardare impotenti il ventre gonfio di bambini affamati e dagli occhi ingigantiti dall’orrore che dentro vi si specchia; ascoltare gracidii ideologici inquietanti e bugiardi dettati da una oscena e insaziabile libido dominandi; rimanere freddi di fronte alla tragedia irreversibile di una natura offesa e violentata… E’ difficile trovare la forza di percepire il male di vivere senza smarrirsi, senza innalzare la bianca bandiera della resa. Maria Teresa Liuzzo ci riesce. Lei ha capito, sa. E sa anche che nell’inarrestabile divenire che accomuna stelle e creature, lei è solo una briciola quasi invisibile. Ed è inquieta, insoddisfatta, smaniosa di individuare il percorso salvifico che la libererà dall’orrido buio per condurla verso la luce. La sua, però, è insoddisfazione feconda, stimolante, generatrice di una ricerca testarda, che la spinge a interrogarsi, a guardarsi dentro, a fare silenzio, ad auscultare, finalmente, la voce divina di quell’onda inquieta e immortale che le agita le vene… Ed è così che le giunge la risposta. L’essere le si rivela. L’aiuta a comprendere che, al di là e oltre le menzogne delle apparenze, l’attimo e l’eternità, l’atomo e l’universo, a goccia d’acqua e l’oceano sono fatto della stessa ”stoffa”, appartengono ad un’unica inebriante certezza. Se questa, dunque, è la verità, ora non ci sono più dubbi sul compito che spetta al poeta: dovrà riscoprire il potere e la dignità della Parola: che è sacra e può liberare l’umanità da ogni sorta di schiavitù: ” … forse / ci salva la Parola…”; ” Plancton / nel mare dell’essere / la parola di Paolo che segue / alla Via di Damasco… ”. Il pensiero di chi legge corre ad Heidegger, Quasimodo, Luzi… Maria Teresa Liuzzo è arrivata allo stesso traguardo. Occorre riappropriarsi delle parole; tirarle fuori dal fango dell’acqua lapidata in cui sono state gettate; sottrarle alle bocche blasfeme e sinistre di chi ne fa strumento di morte; restituirle alla loro funzione: che è quella di farsi testimonianza onesta e gioiosa del vento divino destinato a riportare la vita negli aridi deserti che minacciano il futuro dell’intera famiglia umana. Il tono del poemetto è alto; mai si perde di intensità; anzi acquista, a mano a mano che si procede verso la fine, un ritmo sempre più adeguato a esprimere l’irruenza e la passione con cui l’artista si proietta verso la sua meta. Ci sono immagini oltremodo suggestive a testimoniarlo: il cielo come calma laguna; scarabei e pulviscoli di folgore sul violetto dei cardi; attimi di silenzio che attraversano cortecce d’ebano; solitudini scarlatte in notti di comete; coccinelle ce grondano sul biancospino; lembi di anima su quadrifogli; galoppi di cavalli che incendiano i ceppi della storia… versi che lasciano il segno perché in essi nulla risulta gratuito. La poetessa, padrona dei suoi mezzi espressivi, non ha bisogno di fare ricorso ad aggettivazioni o ad orpelli per dare forza a ciò che dice. Giorgio Bàrberi Squarotti, uno dei maestri più rappresentativi e onesti della critica contemporanea, oltre che poeta di forte spessore, giudice ” belle e altissime” le poesie di Maria Teresa Liuzzo e definisce l’opera ” perfettamente unitaria anche per il ritmo rapido, incalzante.” Ha ragione. L’artista ha una voce deal timbro vigoroso, incisivo, riconoscibile… E, soprattutto, ha la capacità di lasciare sulla sua strada piccoli semi di luce, a testimonianza della sua fede in una ormai imminente palingenesi dell’uomo e della Storia.