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MARIA TERESA LIUZZO: L’OMBRA NON SUPERA LA LUCE

 

 

L’OMBRA NON SUPERA LA LUCE, AGAR EDITRICE, 2006

LA POETESSA CALABRESE S’INSERISCE, CON UN ACCENTO SPECIFICO, NEL RICCO FILONE INAUGURATO DAL VIRGILIO BUCOLICO: ”OMNIA VINCIT AMOR, ET NOS CEDAMUS AMORI”.

… UN LIBRO CONVINCENTE, UN PASSO IN AVANTI NELL’EVOLUZIONE ANCORA IN CORSO DI UNA PERSONALITA’ POETICA CHE AVRA’ ANCORA MOLTO DA DIRE E DA DARE

 

di Giorgio Poli (Poeta – Scrittore – Saggista – Critico letterario)

 

Se i miei calcoli non sono errati, questo è il nono libro di poesia di Maria Teresa Liuzzo. Il suo è ormai un corpus ragguardevole che la critica ha abbondantemente esplorato.Ovviamente in questo ambito recensorio non è possibile indagare gli stretti legami che con questo libro ultimo venuto intrattiene con i precedenti, perciò mi dovrò limitare ad alcuni brevi accenni. Partendo dal titolo, osservo che ombra e luce sono parole tipiche dell’idioletto liuzziano, come tutte quelle che attengono alla sfera semantica degli elementi naturali primigeni (acqua, terra, fuoco, aria). Se rileggessimo ad esempio l’incipit di “… Ma inquieta onda agita le vene” (se ne veda la mia recensione in ”Punto di Vista”, nr.38, ott/dic. 2003): ”Fuoco di verità / su giorni senz’anima, ove l’ombra / trafuga e cela / linfe di terra”, ne troviamo ben tre su quattro. Ma ritorniamo sul libro in questione. ”Fisso le pupille della notte / coi miei occhi interiori / e osservo l’incendio che arde /nelle foreste dell’inconscio” (pag. 51). Ritengo opportuno partire da questa strofa di quattro versi non solo per ritrovarvi per via metonimica (incendio = luce, notte = ombra) la coppia antonimica del titolo, ma anche per ricavarne la fonte sorgiva dell’elaborazione poetica liuzziana. Il vis-à-vis con la notte è potente intuizione (gli occhi interiori sono quelli dell’anima perché”solo gli occhi dell’anima / ( .. ) hanno / appropriate pupille, pag. 76), ma proprio l’osservazione di quell’incendio è il filo rosso che lega i precedenti libri dell’autrice a questo, essendo tale osservazione all’origine dell’associazione repentina e violenta di parole – immagini, di parole – idee. ”L’attività creativa (della Liuzzo) ha l’andamento violento delle forze della natura”: giustissima la considerazione di S. Mangione e nessuno potrà negare che l’incendio appartenga alla sfera della natura. Proprio questa caratteristica spiega la struttura frammentaria di certa poematicità liuzziana. Ma qui l’incendio appare meno virulento e la foresta dell’incendio si apre, lasciando intravedere sentieri percorribili, orizzonti di senso e trame concettuali. Altrimenti detto: l’inconscio libera fantasmi e ossessioni, ma lascia pure spazio all’emersione di stati di coscienza, quindi all’organizzazione dello spazio testuale. E poi si deve tener presente che la poesia della Liuzzo nasce sempre ex abundantia cordis, non da un atto volontaristico e tanto meno intellettualistico. Notte, sogni, eco, anima, cielo, silenzio, amore, ecc. sono parole che in questo libro ricorrono più spesso, sempre variamente declinate e combinate per chiuderle ad ogni forma di stanca ripetitività, spremendo da esse tutta la possibile energia evocativa e suggestiva. Sono parole ”forti”, cioè connotate, a cui viene affidata la vicenda di un Io trascendentale inquieto e mobilissimo, mentre le parole ”deboli” cioè denotate si sottomettono docilmente alle prime. Il Leitmotiv dell’opera mi pare decisamente l’amore, infatti è ovvio che se l’ombra non supera la luce (come assertivamente sostiene il titolo) è perché la forza radiante, luminosa e illuminante dell’amore supera la negatività del vivere. Per essa, dimentichi della propria finezza, si sfiora l’infinito: ”O amore proteiforme / vela e ala!- / sei la mano / che regge il filo / a un estremo dell’infinito…” (pag. 106); per essa il cuore può rivivere le leggende omeriche e svalutare i ”viaggi della speranza”(ibidem); e sempre per essa ”il giglio dell’amore / risorge sopra croci uncinate” (pag.119). E varia la fenomenologia amorosa: ora tempesta dei sensi rivissuta nel ricordo (pag. 107), ora mistero insondabile che rinchiude nella sua forma l’universo intero (pag. 77), ora ascesa e ascesi sino ai piedi del Cristo crocifisso per amore dell’umanità (” Stare ai piedi della croce / e scorgere negli occhi / spenti del Figlio dell’Uomo / la scintilla dell’amore” (pag. 66). Pure essendo tale spoglio lungi dall’essere esaustivo, mi pare tuttavia sufficiente per approdare alla provvisoria conclusione che la poetessa calabrese s’inserisce, con un suo accento specifico, nel ricco filone inaugurato dal Virgilio bucolico: Omnia vincit amor, et nos cedamus amori”.La voce del tempo, il vento dell’Infinito leopardiano, è presente ma relegata sullo sfondo perché inessenziale e irredemibile. Il primo piano appartiene all’anima. L’anima risale il fiume dell’assenza / (…), si fa salmone nel guizzo che attinge / la sorgente” (pag. 50). Chi non vede in questo agile salmone il parente stretto della terragna anguilla montaliana? Giudico pertanto ”L’ombra non supera la luce” un libro convincente, un passo in avanti nell’evoluzione ancora in corso di una personalità poetica che avrà ancora molto da dire e da dare.

 

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