MARIA TERESA LIUZZO: TESTIMONIANZA DI UN’ANIMA
di RAFFAELLA BETTIOL, (Poetessa e critico letterario)
Scrivere di un poeta non è affatto semplice, dato che la poesia è un qualcosa d’indefinibile, d’indefinito, soprattutto in un momento d’incertezza culturale. Forse per cogliere l’incertezza poetica non rimane che abbandonarsi alla parola del poeta, a ciò che la stessa ci trasmette nelle sue più intime vibrazioni. Come scrive Giuseppe Amoroso la poesia di Maria Teresa Liuzzo ”E’ pura voce che parla”: vi è nelle composizioni dell’Autrice, infatti, un’assoluta libertà di linguaggio, di parola: libertà che scaturisce dall’essenza di condizionamenti espressivi, siano essi formali o sostanziali. E’ nella libera concatenazione delle intonazioni foniche delle singole parole che la Liuzzo, al di fuori di schemi metrici precostituiti, crea un ritmo poetico intenso, quasi pittoresco, modulato a seconda della tensione spirituale voluta. Direi che la poesia, quantunque non sia facilmente definibile, sia imprescindibile dall’ideologia di un’anima, anzi ne rappresenti l’assunto, la sua più profonda essenza. Il sole fumante, ossia la parola che nasce, il verso non sono che scaglie dell’universo spirituale dell’artista, concretizzatesi in forma di metafora nell’immaginario poetico. Naturalmente non fa difetto a Maria Teresa Liuzzo una profonda ed intensa spiritualità: lei stessa nella presentazione del suo ultimo lavoro ”Apeiron” scrive: ”La poesia è cultura di luce quando il contenuto del messaggio anticipa la storia facendosi portatore di valori umani, cristiani, sociali”. Non solo non manca nella poesia della Liuzzo il dato morale – spirituale, ma il medesimo ne è il contenuto esiziale, imprescindibile, ed è proprio da ciò che deriva la sostanziale unisonanza tra contenuto e forma, ossia parola e anima. Attraverso la lettura delle tre raccolte di versi dell’autrice, in ordine cronologico, si assiste ad una progressiva ricerca di purezza del linguaggio e ad una progressiva espoliazione dai contenuti propri della storia personale del poeta, che fa proprio il dramma dell’uomo, per elevarsi sempre con maggiore potenza dell’Universale. Il dramma umano è vissuto dalla Liuzzo come il dramma dell’incapacità dell’uomo di riscattarsi dalla morte spirituale: riscatto per l’autrice possibile solo attraverso la conversione ai valori cristiani. Vi è una parola che ricorre frequente in ”Aperiron”: Sangue.Vorrei, al riguardo, rivolgere una domanda alla Liuzzo, ossia vorrei sapere se con questa parola ha inteso rifarsi alla vita o all’Uomo – Dio nella Sue essenza di dolore, di sofferenza, che rinasce e muore in ogni essere umano sacrificato dall’odio e dall’incomprensione. Se scrivere di un poeta non è facile, a maggior ragione non lo è quando si tratti di Maria Teresa Liuzzo, per l’indiscutibile originalità, e l’intensa emozione, che provocano i suoi scritti: appena, infatti, si leggono i primi versi si ha l’impressione di trovarsi innanzi al respiro cosmico del mare, quando le onde increspano l’aria ed i polmoni, ormai quasi asfittici, si dilatano improvvisamente per aprirsi ad una nuova sorgente di vita. L’opera della Liuzzo, in conclusione, è l’opera non solo di un vero poeta, ma la testimonianza di un’anima, che sanguina, ferita da una storia di dolore e di ingiustizie, che grida in un modo assorto nella sua cecità, di un’anima dilatata da ogni egoismo e pronta a donarsi agli altri, seppure assalita da angosce, alla luce del Cristo.