Possibile nascondere un totalitarismo nell’ombra di un altro?
Alberto Frasher
Nel nostro tempo la comprensione del mondo non è possibile senza la piena consapevolezza del Male assoluto del ventesimo secolo. Le nazioni occidentali, il mondo della cultura in primis, nell’immediato dopoguerra cercarono di comprendere e di condannare l’ideologia del nazifascismo con particolare determinazione. Erano consapevoli dei pericoli che la loro ideologia avrebbe potuto creare al futuro della democrazia. Opere d’arte e di letteratura e studi approfonditi furono sostenuti dalla società senza minimamente trascurare la verità storica. In questa grande impresa furono impegnate tutte le forze del mondo della cultura, non solo di destra, ma anche di sinistra.
La caduta del Muro di Berlino, il 9 novembre 1989, segnò il crollo indecoroso di un sistema che aveva sottratto alla civiltà europea la metà delle sue nazioni e che fondava le radici nell’ideologia comunista seguendo a occhi chiusi l’ombra senza vita di Stalin. Una parte consistente del mondo della cultura e, spesso, anche la classe politica dei Paesi occidentali, sono state largamente contagiate dalle idee di quella sinistra. Da un punto di vista sostanziale loro hanno sorvolato con allegria il Male assoluto dei totalitarismi di sinistra. Il mondo della cultura? Oggi è assai più facile pubblicare un romanzo rosa che un’opera letteraria che racconta la sofferenza umana nei Paesi dove regnava il totalitarismo di sinistra.
A quasi trentadue anni dalla caduta del muro di Berlino il mondo occidentale non riesce a svincolarsi da una crisi che difficilmente possiamo considerare di natura esclusivamente economica. Ben oltre le difficoltà economiche, si ha l’impressione di una crisi esistenziale legata ai valori e al nostro modello di vita. Un modello di società, sostanzialmente corroso dai tempi. Verità, che fino a ieri credevamo solide, oggi le vediamo sgretolarsi per poi tramontare.
C’è stato un gigantesco esperimento, assurdo e violento, che credeva di risolvere i problemi della società suddividendo in porzioni uguali la povertà dei cittadini. Tutti uguali davanti alla legge. La retorica di questo falso principio non può produrre che miseria. È sconvolgente la profezia dello svizzero Henri-Frédéric Amiel (1821-1881), di quasi un secolo e mezzo fa:
«Le masse saranno sempre al di sotto della media. La maggiore età si abbasserà, la barriera del sesso cadrà e la democrazia arriverà all’assurdo rimettendo la decisione intorno alle cose più grandi ai più incapaci. Sarà la punizione del suo principio astratto della cosiddetta Uguaglianza, che dispensa l’ignorante dall’istruirsi, l’imbecille dal giudicarsi, il bambino dall’essere uomo e il delinquente dal correggersi.
Il diritto pubblico fondato sull’uguaglianza andrà in pezzi a causa delle sue conseguenze. Perché non riconosce la disuguaglianza di valore, di merito, di esperienza, cioè la fatica individuale: culminerà nel trionfo della feccia e dell’appiattimento. L’adorazione delle apparenze si paga».
La vita, l’Universo e la sua evoluzione consistono nella spontaneità delle differenze, che a loro volta, generano il movimento, lo sviluppo, il conflitto e anche la pace. Sin dai primi anni venti si è visto che la riuscita dell’esperimento sovietico sarebbe stata poco probabile. Allora, inevitabile fu il malcontento, dopo di che arrivò la violenza, scatenata come non mai, contro il cittadino e la sua creatività. L’Uomo, da cittadino, ridiventò suddito. La creatività finì per avere le sembianze della propaganda, sorellastra di un’ideologia che aveva creato solo illusioni.
Andare verso il futuro non si può senza un riferimento storico e culturale. Sarebbe come camminare sull’acqua. La conoscenza e la vera comprensione del passato sono indispensabili per rendere consapevole il cittadino del suo cammino verso il futuro. Negli ultimi due decenni l’evoluzione dell’ordine democratico verso la perfezione si è attenuata a favore delle nostalgie del passato. La crisi delle grandi incertezze del nostro tempo spinge molti cittadini europei a rivivere una sorta di nostalgia del passato. Di quel passato dei regimi totalitari, di destra o di sinistra, che soffocarono ogni libertà nel tunnel della povertà, dell’inganno e della sottomissione. Sulle nazioni del vecchio continente si era scatenato un Olocausto di quasi cinque anni nel corso di una grande guerra. C’era stato pure un altro Olocausto, feroce e interminabile, dal 1917 fino alla caduta del muro. Quel muro che vide dividersi in due la Germania, una nazione che, come Italia, Inghilterra e Francia, ha dato contributi straordinari alla cultura e alla scienza mondiale.
Avendo conosciuto, per dirette esperienze personali, il totalitarismo di sinistra nel suo rapporto con la vita quotidiana del cittadino, sono rimasto colpito per molte ragioni. Uno degli aspetti più complessi, penso che sia il rapporto del potere con il mondo della ricerca e, in particolare, con l’universo dell’arte. Il pensiero libero del cittadino si forma ed evolve spontaneamente nello spazio tra la società e la propaganda del potere e, in questa evoluzione, la funzione dell’arte è fondamentale. Succede così anche nelle nostre società democratiche. Tutti, appena al potere, s’inventano delle teorie che tendono a trasformare l’arte e i mass media in alleati dell’ideologia e della propaganda. Proprio in questa zona critica si gioca la longevità del totalitarismo. Il rapporto tra il potere e la creatività del cittadino diventa inevitabilmente conflittuale. L’artista e ogni forma di creatività umana diventano la vittima eccelsa dei regimi totalitari.
La sinistra nei Paesi occidentali non è stata felice di assistere al crollo vergognoso del comunismo nella seconda metà del continente, perché sapeva di doverne pagare le conseguenze. Il crollo, spontaneo ma coerente con la logica della storia, fu una vera e vergognosa implosione, senza dignità e, certamente, scritta nel DNA della loro ideologia.
Dopo la caduta del nazifascismo, le arti hanno rivisitato senza fine la realtà e le sofferenze della prima metà del XX secolo provocate dai totalitarismi e dalla Seconda guerra mondiale. Nel caso dei totalitarismi dell’Est, invece, regna un relativo silenzio che definirei grave. Non saranno le nostalgie dei totalitarismi a salvare il mondo. E, aggiungerei, non può essere la propaganda dei partiti ad approfondire la conoscenza delle verità sul Male Assoluto del ventesimo secolo. Solo l’arte, in tutte le sue forme, potrà trasmettere ai giovani cittadini del mondo la verità storica insieme alla tragedia della sofferenza umana nell’intera Europa.
L’ideologia e il potere tendono a dominare l’arte e a trasformarla in uno strumento di propaganda, cosa non sempre possibile per merito di una relativa innata indipendenza dell’artista. Penso che siano l’arte e ogni forma di ricerca a definire quel tratto umano che caratterizza da sempre il meglio della nostra esistenza. L’Universo e La Natura, il mistero della Bellezza e la luce della saggezza, la Pace come espressione dell’Equilibrio e dell’Armonia, la Libertà e la Creatività dell’Uomo non hanno nazionalità. Lo sanno bene gli artisti e i grandi cittadini del Mondo che nella creatività vedono il fascino della Natura e, in un certo senso, l’immortalità del genere umano . . . e, per questa loro nobile convinzione, sono i primi a subire la violenza del Male.
La vera conoscenza e la consapevolezza del Male credo che abbiano un limite non trascurabile che in larga misura dipenda dalle sensibilità e dalle esperienze personali di chi è cresciuto, culturalmente parlando, in una società democratica. Questo limite, in un certo senso, è inversamente proporzionale alla malvagità e alla violenza degli eventi che hanno avuto come vittime milioni di esseri umani, bambini, donne, anziani e cittadini inermi.
Non solo la violenza, ma c’è anche l’assurdità del Male a rendere gli eventi assai incredibili. Due fratelli, in un Paese dell’Est Europa, durante la guerra erano schierati uno con i nazionalisti e l’altro con i comunisti. Dopo la guerra entrambi lavoravano nella stessa città. Il nazionalista si vantava di aver avuto un fratello partigiano e andava avanti nella sua carriera; il partigiano comunista, invece, era da sempre nel mirino del regime poiché fratello di un nazionalista. Come si può credere a una simile assurdità?
È necessario comprendere che ogni forma di estremismo è una deformazione dell’equilibrio e dell’armonia nella vita e nelle riflessioni dell’Uomo. Il Male si rifugia nelle pieghe di ogni estremismo per germogliare appena le condizioni glielo rendono possibile.
Scrivere di questi eventi è difficile, se non impossibile. Dipingere il quadro autentico delle vite alterate dalla peste dei totalitarismi dovrebbe essere un’esigenza dell’intera società. Dai numerosissimi contatti con vecchi amici, sin dai primi anni dopo la caduta del muro, ho capito che la gente viveva in una sorta d’incubo non del passato, formalmente ormai chiuso, ma del futuro. Si pensava poco al tempo che fu e al suo Male infinito.
Nel 2010 andai in Albania per visitare il santuario di Sant Antonio, quaranta chilometri a nord di Tirana. Un santuario del sedicesimo secolo, che fu raso al suolo dal regime comunista di Hoxha nel 1967. Da piccolo, io e i miei genitori, Maria Venturi e Francesco P. Fràsher, andavamo una volta l’anno nel santuario antico di S. Antonio. Si dormiva all’aperto con migliaia di altri credenti. Un bosco di giovani querce era il nostro rifugio notturno. Eravamo affezionati a queste usanze. Facevano parte delle nostre curiosità e del nostro modo di essere. Rivisitando il santuario, ricostruito dal nulla, ho fatto con il frate Fran Pёrlala, una lunga chiacchierata sulle tragedie del passato. Mi disse il frate Fran: dobbiamo riflettere a lungo per comprendere il perché di queste tragedie.
Comprendere il perché di una tragedia umana . . . Una parola! La storia difficilmente potrà fornire una risposta esauriente al problema. Credo, perché la natura del Male va cercata nei meandri della nostra complessa esistenza, individuale e collettiva, e si esprime in mille forme imprevedibili.
Un sistema immenso di dati, analisi politiche, economiche e altro si limita a costruire la teoria, per così dire, dei totalitarismi. Questa verità, o presunta tale, è semplicemente formale e fredda, da libri di storia. Il fatto, per fare un esempio, che la guerra ha avuto milioni di vittime, si rifugia in un angolo dei libri di storia senza coinvolgere la sensibilità umana. Pur essendo assolutamente necessaria, la storia resta tale perché prescinde dal dolore umano. Solo l’arte, ignara delle teorie formali, entra nella vita dell’individuo, racconta la mostruosità del Male e la sofferenza dell’Uomo.
L’immensa opera creativa dell’Uomo, in ogni epoca, ha avuto come filo conduttore la tradizione culturale della propria nazione, anche quando la stretta delle forme deviate del potere ha cercato di trasformare la vena creativa dei propri figli in uno strumento di propaganda.
Se vogliamo comprendere la storia, dobbiamo partire dall’individuo, raccontando la sua gioia e la sua sofferenza. Con il racconto che focalizza l’attenzione sull’Uomo, si potrebbe tessere l’immensa tela della storia. Sarebbe, invece, impossibile comprendere la realtà dell’Uomo guardando dalle vette della storia formale. Non sarebbe stato possibile comprendere l’evoluzione dell’Uomo e del suo pensiero senza l’opera di Omero, Dante, Shakespeare, Goethe o Dostoievskij. L’arte, nel suo lungo cammino storico, tramite la pittura, la musica e la letteratura, ha immortalato l’immagine fedele dell’evoluzione umana. Oggi noi sappiamo distinguere l’Uomo del Mediterraneo antico da quello dei vichinghi, l’Uomo della Roma antica da quello del Medioevo. A rendere possibili tali sensibilità e conoscenze sono state le opere d’arte, che in tutte le epoche hanno focalizzato nell’Uomo l’oggetto della loro paziente ricerca.
I sopravvissuti all’olocausto di un cinquennio di guerra e i testimoni delle infinite violenze con milioni di morti e deportazioni di quasi un secolo segnato dai totalitarismi di sinistra, non ci sono più. Le generazioni future comprenderanno il dolore umano e i significati più profondi di quella tragedia, sì dai libri di storia, ma soprattutto dalle opere d’arte. Quelli di destra avevano scatenato una guerra che in cinque anni fece 50 milioni di vittime innocenti: ebrei e rom, russi e polacchi, tedeschi e italiani, inglesi e americani. Diversa fu la sofferenza delle nazioni dell’Est, sottomessi da una forma spietata e pericolosissima di totalitarismo per mezzo secolo: privazione della libertà e del diritto alla proprietà, campi di concentrazione e di lavori forzati, un egualitarismo soffocante che ha cancellato il diritto naturale del merito. Anche bambini deportati insieme ai genitori. Il mio amico, Eugjen Merlika, figlio di un ingegnere albanese e di una professoressa italiana di filosofia, fu deportato insieme ai genitori in un campo di lavoro forzato. Correva l’anno 1945. Il mio amico aveva solo due anni. È uscito da quell’inferno comunista solo nella primavera del 1991. Per la prima volta vide la luce da uomo libero a 49 anni di età. Possibile abbandonare la verità di tali sofferenze nei quaderni della storia come fosse qualcosa che riguarda l’Uomo primitivo? Tutto questo è stato il Male Assoluto che i nostri simili hanno sofferto a partire dal 1917 fino al crollo del Muro di Berlino.
Chi, nei Paesi dell’Est Europa, ha vissuto realtà difficili ben oltre la dimensione tollerabile dall’uomo, approda a uno stato di continua riflessione. Inizialmente, appena dopo la liberazione, si vive una gioia incontenibile e invasiva, quasi da mettere paura. Sarebbe il trauma della liberazione. Un trauma che, poi diventa mare calmo, ma sempre più profondo. Col tempo prevale un senso di rifiuto verso quello che si è vissuto. Il dolore per l’ingiustizia subita diventa dominante. Le difficoltà economiche vissute e le conseguenze relative passano in secondo piano. Per un animale la fame è causa di sofferenza fisica. Per l’uomo, invece, tale condizione ferisce l’anima per l’umiliazione subita e per essere stato bersaglio di assurde ingiustizie.
Quando si crede che tutto sia finito, arriva la vera lucidità. La riflessione aiuta a comprendere che l’umiliazione della sottomissione è stata una sofferenza infinita. Ci si trova immersi nel mare calmo e profondo dell’amara consapevolezza che la tua sia stata una vita violata e fallita e che non ci sia rimedio a questa ferita. Per questo motivo la vita è segnata da un latente senso di malessere che dura finché non arriva la morte.
Non c’è stato un movimento culturale, un serio impegno della classe politica ad analizzare e a condannare il totalitarismo di sinistra come aveva già fatto e continua a fare per il totalitarismo di destra. Potrebbe essere un’asimmetria casuale? Possibile nascondere, accarezzare un totalitarismo nell’ombra di un altro?
È la coscienza che m’induce a raccontare l’assurdità di una realtà che non deve essere mai sottovalutata come una curiosità o una stranezza del passato. Penso che ci siano poche occasioni di riflessione sui percorsi errati della società contemporanea, sulle ingiustizie diffuse e sull’assenza attuale nel panorama mondiale di leader veramente illuminati. Nella condizione di una piega molto pericolosa della realtà economica di questi decenni, presto la gente erroneamente rischierà di rientrare nelle illusioni che ieri avevano portato a tante sofferenze.
Possibile? Il mondo occidentale ha voluto condannare e approfondire la conoscenza del Male dei totalitarismi di destra ma, purtroppo, non sono pochi i cittadini europei che esprimono dubbi su fatti reali di violenza e sofferenza umana prima e durante la guerra. Nel caso dei totalitarismi di sinistra il pericolo è assai più grande. L’indifferenza della società rende molto probabile il risveglio delle ideologie, cosiddette socialiste o comuniste, che avevano fatto credere ai cittadini l’ideale infantile dell’uguaglianza assoluta. Oggi, il dominio del romanzo rosa ha tradito lo spirito critico della letteratura del XIX secolo: il cosiddetto realismo critico, nobile espressione della democrazia. Credo che il romanzo rosa del nostro tempo sia ottimo per addormentare la consapevolezza dei veri problemi del nostro tempo.
Cosa dire di più? Potrei e vorrei offrire al lettore un frammento[1] tratto dalle tante verità che ho conosciuto e vissuto nella mia gioventù, quando da studenti dopo gli esami ci mandavano a fare uno e due mesi di volontariato obbligato. Aiutava a comprendere la vera vita: quella vissuta e non quella sognata.
“Luglio, 1967. Un giovane studente, mio amico, mi aveva parlato delle difficoltà della sua famiglia in campagna. Si chiamava Mark. Non potevano allevare più di due maiali, mi ripeteva ultimamente. Il regolamento lo vietava, perché i contadini potessero dedicare tutto il loro tempo al lavoro nei campi della cooperativa. Il governo pensava solo al grano, garantire il pane, per il resto si vedrà nel futuro, dicevano. Invece, per i contadini, i campi della cooperativa contavano poco. Lavorando dalla mattina alla sera non potevano guadagnarsi neanche il pane quotidiano, quindi curavano il bestiame, pecore o maiali, per potersi avere un po’ di carne, e quando possibile anche un sorso di latte per i più piccoli.
Era la politica del grano ad ogni costo. Per la loro regione, quasi interamente cattolica, il maiale era il bene essenziale della famiglia. Ma non è un problema, mi aveva detto Mark. Ogni famiglia ha provveduto ad un nascondiglio sotterraneo dove allevare i maiali. Erano maiali fuori legge destinati al buio del nascondiglio.
Mark di solito ascoltava gli altri e parlava poco. Tutti gli volevano bene e lo rispettavano. Lui, invece, alto e ossuto come era, sembrava l’epicentro della nostra piccola compagnia. Percepiva a modo suo tutto quel che si diceva attorno a lui, rifletteva e, poi, ascoltava ancora. Mostrava dieci anni più di noi. Portava la stessa giacca lunga da quando si era visto per la prima volta nelle aule della facoltà. Sembra un disertore, aveva detto qualcuno.
Avevo visto un film sul proibizionismo negli Stati Uniti, il governo contro le distillerie degli alcolici. Da noi c’era in vigore il proibizionismo contro i maiali. Nuocevano al bene comune. Condannati alla illegalità dovevano stare zitti nei loro nascondigli per non compromettere i rapporti della famiglia con l’amministrazione della cooperativa.
Mark fumava poggiato sul portone del monastero. Ci aveva lasciati soli sotto l’ombra di un leccio un paio di metri da lui. Una lucertola che spuntava tra due pietre del muro, sembrava poggiasse sulla sua spalla. Lui non si accorse e continuava ad ascoltare, forse, il coro delle cicale. Non seguiva le nostre chiacchiere come io pensai. Il suo sguardo si perdeva lontano, verso il mare quasi invisibile oltre la foschia della sera o nel nulla.
“Volete sapere le novità della mia regione?”, ci chiese Mark.
Nessuno rispose. Il partito, ha scoperto dei nascondigli e ha sequestrato un bel po’ di maiali, fu la risposta di Mark. L’amministrazione, l’ultima domenica del mese, aveva fatto ammazzare due maiali nella piazza della cittadina. Questa fine faranno i maiali che non rispettano i nostri regolamenti, avevano detto.
Ci fu una pausa. Nessuno parlava.
Nei primi dieci anni dopo la guerra i nemici della rivoluzione venivano impiccati durante la notte nelle piazze delle città, e poi lasciati lì fino alla sera del giorno successivo. I maiali invece furono giustiziati in pieno giorno in mezzo alla piazza, sgozzati perché non rispettosi dei nuovi regolamenti. Pensai alla ghigliottina e agli eroi della rivoluzione francese. Non so perché, ma fui terrorizzato dall’idea della morte. Gli eroi della ghigliottina ci lasciavano la testa consapevoli della morte, qualcuno addirittura fiero della propria innocenza. I maiali sgozzati, invece, ci lasciavano la pelle senza rendersi conto della loro colpevolezza. Non so a che cosa pensavano gli altri; forse all’idea di sgozzare due maiali come i controrivoluzionari del dopoguerra.
L’inquisizione nel medioevo mandava al rogo l’eretico. L’inquisizione dei nostri tempi mandava al rogo la memoria, le credenze. Addirittura i simboli non c’erano più. Sul portone del monastero era rimasta la traccia della croce, una traccia sul legno del pino silvestre delle montagne. E poi, avevano distrutto anche il portone. Pezzi di vetro dipinto o di cristallo, tra le mani dei volontari, erano i resti dei nostri simboli. Eravamo ridotti in ammassi di carne e ossa, niente di più.
Un paio di anni più tardi seppi che Pirro era stato licenziato e mandato a lavorare in una cooperativa agricola nel sud del paese. Vi ha lavorato per diciotto anni, zappando la terra dalla mattina alla sera. Gli avevano trovato la Bibbia dentro la borsa e i colleghi lo denunciarono. Niente da fare, non c’era rimedio. Leggerezza di chi voleva conoscere la genesi dell’umanità.
Eventi di quasi cinquant’anni non cambiarono una persona o due, ma intere generazioni, nate e vissute tra ipocrisia e odio, calpestando la storia, le usanze e le credenze popolari. Si diceva che il mondo l’avesse permesso come una sperimentazione gigantesca su una intera nazione: conoscere la metamorfosi di una nazione quando è priva di libertà, di proprietà privata e di religione. Volevano conoscere i limiti della pazienza umana. Si diceva così, ma sapevano che era una battuta, nient’altro.
Nel corso degli anni diventammo come pezzi di legno infangati dalle noie quotidiane: monotonia e uniformità delle idee, quella uniformità che uccide l’essenza stessa della vita, la ragion d’essere e la lucidità.”
L’Uomo moderno, stanco della routine incredibilmente noiosa e angosciosa della vita quotidiana, evita di raccontare il peggio del suo essere, respinge l’idea dello stare male . . . e, con l’aiuto della propaganda, si sente meno sofferente o, addirittura, tristemente felice. Spesso si vive in uno stato di realtà virtualmente alterata, senza la piena consapevolezza della propria esistenza. Si trascurano affetti, passioni, talenti e si perdono inevitabilmente i tratti più umani del nostro essere. Queste circostanze possono favorire la crescita spontanea e latente delle nostalgie del passato e dei pericoli che ne derivano. Dobbiamo essere attenti e prudenti.
In ogni uomo, diceva Platone, sonnecchia un tiranno.
Terni, dicembre 2021
[1] Tratto dal romanzo L’amara favola albanese (Orme sull’acqua) di Alberto Frasher, Rubbettino Editore, collana del filosofo Dario Antiseri, 2000.