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LA LUMINOSA COERENZA DI MARIA TERESA LIUZZO

 

 

di FULVIO CASTELLANI, scrittore- giornalista & critico letterario.

 

 

E’ impossibile non seguire la rotta in mare aperto della poesia targata Maria Teresa Liuzzo. Il motivo è semplice, semplicissimo: il suo è un percorso estremamente nitido, pulito, aereo e tutto proteso verso l’alto, ossia in direzione di una meta che, prevede la pulizia meticolosa della parola inutile o secondaria. Ogni verso, ha in tal modo il profumo intenso dell’amore, della gioia che si veste con l’abito sempre nuovo dell’emozione forte e genuina, del calore intimo che scaturisce dal suo quotidiano leggersi dentro e cercare nell’altro oppure nell’ambiente e nella società un approdo, uno spazio nuovo e sincero in cui tuffarsi e sognare, o quantomeno tentare di farlo seguendo per quanto possibile il mito che vuole la poesia come l’espressione più aperta ed efficace per lasciare poi, in chi legge, il desiderio, a sua volta, di leggersi dentro e di verificare se la poesia è lo specchio non deformato dei sogni, delle attese, dei ricordi, delle emozioni che condizionano, volenti o nolenti, il modus vivendi di ognuno di noi. Detto questo, eccoci al ”cuore -aperto” di Maria Teresa Liuzzo, al suo stringersi a quel fiore che risponde al nome di Miosòtide, ovvero a quel non – ti – scordar- di -me che da sempre costituisce uno dei fiori più belli e spontanei, e che, soprattutto da giovani, dà la stura ad espressioni, d’amore verso l’altro, verso chi si è attratti o che condivide con noi le stesse sensazioni. E ” Miosòtide” è il titolo della sua ultima, corposa, raccolta di poesie, edita da A.G.A.R. nel giugno 2009 e che si apre con un giudizio critico di Giorgio Bàrberi Squarotti e con una puntuale e sostanziosa prefazione di Mauro D’Castelli. Ed è subito festa d’immagini, intime, di genuflessioni e di palpiti, di immersioni e di subitanee riemersioni, di gridolini e di lunghissimi canti, di invocazioni, di capriole, di intrecci e di gratificanti ritorni alla luce, al sogno ad occhi chiusi, ai disegni e ai piccoli e sempre vividi grappoli maturi che la fantasia riesce ad ondeggiare sul filo di un lirismo quanto mai puro, efficace, scorrevole, gioioso… Poesia matura dunque, e non soltanto per la capacità di Maria Teresa Liuzzo di abbracciare in un dolce e raffinato amplesso verbale, usando una parola musicalmente esatta nel contesto del discorso, ma anche per il piacere, tutto suo, di incontrare al di là dell’incresparsi di un ricordo o di un’attesa, quella stella cadente che le consente di esprimere altre emozioni, altre primavere che affondano nel sangue ribollente del suo essere donna e poetessa autentica. Logico, a questo punto affermare che la sua è una poesia coerentemente luminosa e dai suoni che attraversano fiumi di luce, palpiti stupiti, carezze dettate dai sensi. Non si spiegano altrimenti espressioni come ”Vieni in me, non deludere l’attesa” oppure ”La parola è fuoco che rivela / ciò che il gelo nasconde” oppure ancora ” Ti invento, è certo, ma come / vivere – sopravvivere / senza la fantasia?” Maria Teresa Liuzzo sembra non conoscere ostacoli lungo il suo cammino dentro e attraverso la poesia proprio perché ” Tutte le navi del mio cuore / travolgono i gorghi, / ma poi se le tue labbra / io assaporo, / sono come una vela / che la brezza spinge, / sono l’ala / gioiosa che dipinge / l’azzurro e si fa stormo”. Come a dire che lei sa tradurre in canto anche l’ombra, anche il mistero del nulla, l’accorgersi talora che lo specchio non riflette l’immagine che vorrebbe. E, ci piace aggiungere, che la sua poesia non sosta mai sul pietrame dell’incertezza cosicché, da trepida vestale qual è, insiste nel ”sottrarre al buio i colori più accesi”.

 

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