DAVIDE PUCCINI: LA MODERNITA’ DI MARIA TERESA LIUZZO
MARIA TERESA LIUZZO –L’OMBRA NON SUPERA LA LUCE
A.G.A.R. ED. Reggio Calabria, 2006, Euro 40,00
…LA MODERNITA’ DI MARIA TERESA LIUZZO SI NUTRE, COME E’ GIUSTO E A NOSTRO AVVISO PERFINO INDISPENSABILE, DI CLASSICITA’
di DAVIDE PUCCINI (Poeta – Scrittore – Critico Letterario- Filologo)
Il nuovo libro di Maria Teresa Liuzzo, L’ombra non supera la luce, presenta quasi all’inizio un gruppo di Haiku, una quarantina in tutto. Credo che un’attenta lettura di questi componimenti offra l’occasione di penetrare nell’officina segreta della poesia, svelando il meccanismo che regola con la semplicità della loro struttura, come è noto derivata dalla tradizione giapponese, ridotta ai minimi termini. L’haiku vive interamente, nel breve volgere dei tre versi, della capacità evocativa delle immagini, alle quali è affidato non soltanto il compito di abbellire ma proprio quello di costruire: ebbene, anche nel resto della raccolta e un po’ in tutta l’opera della Liuzzo il testo consiste soprattutto nell’inarrestabile caleidoscopio delle immagini, anche quando si arricchisca di pensiero e tratti o sfiori argomenti specifici molto concreti, come le atrocità del mondo contemporaneo,che scorrono sotto i nostri occhi o le lusinghe dei politici. Leggiamo: ”Ci privano del buio,/ ci sottraggono stelle; / ci offrono giochi d’artificio / sulle città, fra le macerie in festa. / Altro rosso indica il sangue / e lo strazio dei corpi (…) L’anima risale il fiume dell’assenza, / si ferma talvolta nel gomito di un’ansa / a prendere fiato, a prepararsi al salto / che ora è torrente. / Si fa salmone nel guizzo che attinge / la sorgente”, dove prende il sopravvento l’immagine conclusiva dell’anima – salmone, per di più impreziosita dalla rima in explicit, rara per la Liuzzo che di solito non usa rima, torrente: sorgente. Il pullulare delle metafore, che rampollano l’una dall’altra genera un continuum poetico che non ha bisogno di organizzarsi in sezioni (e nemmeno di titoli identificativi per i singoli testi), di dotarsi di una impalcatura di sostegno che nel nostro caso risulterebbe imposta dall’esterno, da un calcolo a posteriori che non farebbe corpo con la poesia. In questa direzione vanno i frequenti incipit all’infinito (Avere sempre, Immergersi, Essere nel deserto, Smascherare, Sentirsi radice, Cancellare, Spegnere, Versare la forza, Essere donna, Risorgere talvolta). Che poi ritornano anaforicamente nel corso del componimento assumendo così una funzione strutturale di rilievo: se il verbo di modo finito è il verbo dell’azione, radicato in un tempo determinato, l’infinito esprime al contrario un eterno presente e si presta perfettamente alla contemplazione estatica nonché a quella estetica, lasciando il campo al dominio incontrastato delle immagini. I versi sono liberi, ma controllati da un ritmo segreto ben percepibile che talvolta deriva da una base endecasillabica frantumata, come nel seguente esempio: ”Segue la propria ombra / il desiderio, ma / è pietra incandescente / che non sfugge / alla vanità del lambire”. Basta una diversa divisione per evidenziare il verso più illustre della nostra illustre tradizione: ”segue la propria ombra il desiderio / ma è pietra incandescente che non sfugge…”. Il che ci porta a concludere che la modernità di Maria Teresa Liuzzo si nutre, come è giusto e a nostro avviso perfino indispensabile, di classicità.