“L’OMBRA NON SUPERA LA LUCE” DI MARIA TERESA LIUZZO
GLI OCCHI O MEGLIO LE ” PUPILLE ” DEL POETA, DELL’ANIMA E DELLA SUA INNOCENZA, DIVENTANO IL FILTRO SIMBOLICO DI UNO SPAZIO DI ATTRAVERSAMENTO CHE GENERA SENSO E RINNOVA CONTINUAMENTE LE PROPRIE ISTANZE ESISTENZIALI
di VALERIA DI FELICE (Scrittrice – Editore)
Con l’ombra non supera la luce, entriamo in un denso spazio letterario e metaletterario in cui il linguaggio, a volte più conciso e rarefatto, a volte più discorsivo e ampio, tematizza un gioco vicendevole e complesso tra le varie metafore della vita. La luce e l’ombra sono i lineamenti di una mano che muove l’onda poetica dell’intera silloge, appellandosi non a una lotta dicotomica, ma a una reciprocità di sguardi e alleanze tra i diversi e mutevoli chiaroscuri della realtà. Da un lato, troviamo la luce con la sua capacità chiarificatrice sulla superfice opaca delle cose, dall’altro lato possiamo scorgere l’ombra che, con la sua porosità ed evidenza proiettiva, dona all’uomo profondità di veduta e tridimensionalità di sostanza. Nel tentativo di rendere visibile ”l’invisibile” attraverso l’intuizione della parola poetica, l’ombra, seppure nella sua inconsistenza materiale, diventa il segno tangibile e concreto di una presenza, quello di un Io lirico in balie di intense onde emotive. Al pari della luce, l’oscurità è una terra fertile che muove il silenzio e ara le parole, è un’ombra danzante in attesa di lune che apre il libro della ricerca e della creazione: Nel buio della pupilla, / il sortilegio della fiamma. / La verità, / fra luce e ombra. / Rammenda carezze la notte / e rimbrotti nel vuoto. / Disfà promesse il mattino / fra uncini di sepali. La sensazione che si ha ad una prima lettura è quella di essere di fronte ad una sensibilità acuta e attenta al mondo della vita e a una visione fenomenica del dato reale che si estrinseca al di là della sua ordinaria connotazione fisica. Gli occhi o meglio le ”pupille” del poeta, dell’anima e della sua innocenza, diventano il filtro simbolico di uno spazio di attraversamento che genera senso e rinnova continuamente le proprie istanze esistenziali. Cuore e mente, emozione e pensiero trovano nella Liuzzo un’alleanza ragionata ed efficace nel tentativo di avventurarsi verso un paesaggio interiore che trasuda eccessi d’amore, snoda gli abissi e accoglie – raccoglie acque sorgive: Rosso sull’oceano, galassia di onde, / bacche di spume: i desideri / risalgono correnti, si tramutano / in aghi di ghiaccio, sopra le sorgenti. / Il pensiero sonda gli abissi, crea / città sommerse, rinverdisce deserti, / è il sale delle carovane. In questo viaggio di scoperta l’Io lirico diventa il punto di intersezione di un movimento bidirezionale che procede dall’esterno all’interno e dal personale all’impersonale. Assume un ruolo rilevante, a mio parere, l’uso massiccio del tempo verbale all’infinito come escamotage per rimandare allusivamente a una dimensione dal respiro umanizzato e dilatato. Esso rimanda anche a un gioco interessante tra due piani temporali diversi: da un lato c’è l’immanenza e l’istantaneità di un’intuizione che sembra materializzarsi nel momento in cui si legge il verso poetico; dall’altro lato c’è il richiamo a un tempo memoriale che funge da fonte ispiratrice. Ciò che condensa attraverso una versificazione dalle forti coloriture espressionistiche e una curvatura linguistica composita, è il canto della vita, pentagramma del soffio divino, nella sua costante ricerca di un’ontologia che va scavando e sbriciolando l’enigma dell’esistenza fino alle radici. L’atto della scrittura, lontano dal mero orpello stilistico, diventa il tal modo, uno strumento di estroversione che affranca il battito animoso e galoppante dell’autrice e la sua discesa fino ai meandri più tortuosi di un’interiorità piena e viscerale: Ferite sezionano memorie / nel grande libro della notte. / Le porte sono serrate, / in catene è la vita: affonda il cuore / fra gorghi di parole.