LA BELLEZZA DELLA LETTERATURA NELL’ERA GLOBALE DI MARIA TERESA LIUZZO, VOCE POETICA E PROFETICA
“La letteratura è la rivolta contro le cose accettate”…Maria Teresa Liuzzo esemplifica questi saggi detti e va oltre… Trasformando la coscienza in Arte o in Amore.
(Peter Russell, più volte candidato al Nobel per la Letteratura)
La Cultura non è un palcoscenico, né un circo, ma un punto d’incontro e un riferimento per la parola che vive, respira ed è un soggetto in quanto ha una propria anima, agisce, assume corpo e dimensione. L’insieme le conferisce autorità, partecipazione, valore, come l’embrione che, pur non essendo trasformato in neonato, è già un soggetto di diritto. Entrambi, pur essendo in gestazione, abitano due “piani” diversi nella stessa intensità.Entrambi creano, gioiscono e soffrono nutrendosi dello stesso respiro e ricevendo ossigeno dalla stessa fonte. La Cultura è fatta di sangue e inchiostro, è unica e insostituibile e il legame tra cuore e animus non si spezzerà mai. Nessuno dei due tradirà l’altro. Conosce la vita la ciclicità dell’eterno fiorire, ha una stasi per germogliare in boccio “Nihil impossibile, omnia possibilia”. È sufficiente un petalo di luce per lasciare affiorare un verso, immagini sepolte nel nostro subconscio liberandole dal buio dell’esistenza, sradicandole dal marciume esistenziale per trasformarle in perfezione formale, danza di emozioni, profondità di pensiero e di linguaggio. La Globalizzazione di cui tanto si parla vorrebbe cancellare la Storia del mondo come se fosse gesso sulla lavagna e non l’Umanità fatta di carne e ossa. Da ciò sarebbero avvantaggiati i poteri forti a discapito di chi è sempre più povero ed abbandonato ad un crudele destino. Non sarebbe certo un atto d’amore, ma un fattore di interessi non comuni, quindi non universali. Sarei d’accordo per le parti che riguardano i diritti umani ed escluderei il pensiero unico. Siamo stati creati ad immagine di Dio (comunque si chiami, rispetto per tutte le religioni) e, quindi, padroni assoluti dei nostri pensieri che devono essere e rimanere eterni e inviolabili. Sì alla libertà di pensiero, no alla coartazione. Ognuno di noi ha un modo di vedere e di pensare proprio. Si può essere uguali umanamente, siamo tutti fratelli, figli del mondo ma siamo stati creati ed educati ad usi e costumi che variano tra di loro: colore della pelle, razze, lingue, clima, tratti somatici simili, ma mai uguali. Se il Creatore del mondo avesse voluto diversamente lo avrebbe già fatto: saremmo una sola razza, parleremmo la stessa lingua, avremmo lo stesso colore di pelle, ci sarebbe solo il giorno o la notte, l’estate o l’inverno. Invece abbiamo le stagioni, il mare, i fiumi, gli oceani, la sola ricchezza o la stessa miseria, avremmo tutti la stessa altezza, lo stesso colore degli occhi o dei capelli. Lo stesso sarebbe avvenuto con le piante, gli animali, i pesci, gli uccelli. Siamo nati per essere diversi, come le diversità biologiche, non ci sono confusioni ma solo perfezione. Ognuno di noi ha un nome, un paese, una storia, un dolore o una gioia nel cuore. Come può essere l’altro? Saremmo dei robot costruiti in serie. Ma siamo umani e non bisogna mai dimenticarlo. Non siamo immortali. Possediamo un’anima e siamo unici nella nostra diversità. Ognuno di noi ha un nome che è il nostro passaporto e documento anagrafico, l’iter della nostra esistenza per essere unico, essere se stesso. Tutto questo per distinguerci e non per confonderci come un fascio d’erba. Sembra che tutto stia andando in confusione. Mai perdere di vista la sola ragione che vale per tutti: il Rispetto! La parola è ape che ha trovato la libertà nel suo fiore e nella potenza dell’incontro. Tutti scrivono, tutti scopiazzano: macellai, becchini, pescivendoli. Fanno razzia di frasi, parole, nomi, mode. Molta gente è insoddisfatta, ha dimenticato la priorità dei valori(semmai li avesse avuti). È subdola come un male nascosto, trama e trema come i traditori alla Frontiera. Siamo arrivati all’assurdo. Ancora peggio, il rapporto con le persone che fingono malattie inesistenti, utilizzando gli inganni peggiori partoriti dalla loro perfidia, offendendo i veri ammalati. Il motivo è togliere di torno ogni persona che riconoscono sia migliore di loro, e che prova pena per gli escamotage di questi pennivendoli e volpi spelacchiate, arpie prive di scrupoli, abbonati alla menzogna e aggregati alla peggiore delinquenza. Abbiamo così individuato e descritto il carnefice che si trasforma in vittima. Queste donnette da cabaret, degne compagne di marinai ubriachi e puzzolenti nelle stive, avventuriere di passaggio, che per loro rappresenta l’unico svantaggio di una eterna e atavica ossessione. La stessa che le sbranerà nel momento in cui la vita sembrerà loro più bella del sogno. A volte ho la sensazione di trovarmi in un circo, dove le megere di turno si mettono in cattedra, tirate in volto e con le zampe di gallina, pronte per ammaestrare pecore, quelle stesse pecore sparse che sarebbero finite in fondo al burrone se non ci fosse stato il comando del bastone e la guida dei cani. Non è come estasiarsi in una balera, la notte arriva e vi raggiunge subito “morte”, prima dell’alba vi sorprenderà la sera. Non siete parte del mistero e come ferite (aperte) e infette rimarrete attaccate al putridume di vocali sterili e frasi agonizzanti. Il male non sarà mai un astro di saggezza letteraria, né tantomeno la bellezza universale della Letteratura. Sono tanti i gigolò e le cornacchie ingarbugliati dalle loro budella, rifiutati persino da un lacerto d’immagine. Eppure sono tutti accodati al carro del “vincitore”. Imparate a combattere, senza scopiazzare il “sudore” di coloro che si sono sacrificati per ottenere il meritato traguardo, altrimenti non sarete mai liberi bensì succubi dello “Zero” che tanto arditamente state proclamando. Non siate stampella del dolore continuando a genuflettervi. Rischiate e combattete con onore.
Come è ben risaputo lo zero ha bisogno di numeri per uscire dall’anonimato. Basta mettersi in bella mostra, per ottenere lo scopo prefissato, in poche parole esporsi come merce in vetrina. Come diceva S. Pio da Pietrelcina “Chi mostra vende”: non è forse diventata la vita un libero mercato? Dove sono finiti i veri scrittori e i poeti? Dove i valori? Stendiamo un velo pietoso per quei pseudo uomini che si lasciano abbindolare dalla balza di una gonna e dal sorriso di una iena dimostrando di essere dei burattini e perdendo il rispetto di se stessi. Per scrivere bisogna essere liberi e non rendersi schiavi delle mutue stampelle, parte oscura e malleabile delle varie consorterie e mafie letterarie. La scrittura è aria, luce, libertà. Bisogna strappare le catene, uscire dal “guscio” della sudditanza, passeggiare con se stessi, interrogare la propria coscienza, riappropriarsi della propria identità. Il passato è figlio del presente e padre che ci proietta nel futuro. Bisogna ribellarsi alla falsità, affinché non diventi mai “la forza del diritto”, il “diritto della forza” (P.B.), vivere e non vegetare, allontanarsi da quel caos strumentale e diabolico della iperconnessione. Non siamo macchine costruite in serie, siamo esseri umani: unici. È d’obbligo prenderne visione e assumersi le proprie responsabilità di pensiero, siamo esseri sensienti e non burattini. A volte basta una marina, un tramonto di fuoco, un filo di stelle sotto la pioggia per stupirci, vedere un fiore aprirsi come un battito di ciglia, l’arcobaleno che traccia un ponte nel cielo e mentre lo dipinge assistiamo ai pochi minuti della sua metamorfosi, come il sole che apre le dita mentre singhiozzano le onde tra gli scogli. Tutto si arricchisce della nostra luce, del nostro sapere e ha un sapore diverso perché la luce è soltanto di chi la possiede e la dà agli altri senza riceverla da nessuno. Ma i “nani”, soprattutto le “majorette” del momento sono delle perfette sanguisughe. Orche assetate di sangue e di potere. La strana coppia di saltimbanchi specializzati vivono con il solo scopo di creare problemi al prossimo. La verità, però, è una valorosa amazzone, tira fuori gli artigli e combatte come una tigre. La vita è di chi la possiede, di nessun altro. Nessuno può spacchettarla a suo uso e consumo. Siamo personaggi di noi stessi, figli del tempo e non presenze partorite dalla fantasia. Soltanto con il dialogo e coltivando il rispetto si raggiunge la serenità dello spirito e l’utopia della pace. È importante coltivare la solitudine, i sogni e i bisogni dopo aver allestito altari di lacrime. Ci paragonavano a pezzi di carta per imbrattarci e poi tritarci, volevano appropriarsi della nostra esistenza, spesso per regalarla ad altri, come si fa quando si dà un calcio ad un pallone, per poi gettarla via e disperderla come un pugno di coriandoli. Bisogna non lasciarsi influenzare né intimorire ma vivere la nostra vita senza pretendere di gestire quella degli altri. Mai dimenticare che il mondo è abbonato alla menzogna e chi tradisce una volta tradisce sempre. Ma quando la pazienza busserà alla nostra porta ci sussurrerà che anche lei è lenta come una lumaca e si trascina nel tempo con la sua bava d’argento. Noi abbiamo sperimentato che le tempeste della vita possono essere brevi o lunghe, abbiamo abbracciato coloro che cercavano conforto e comprensione, quella stessa comprensione che un giorno non lontano potrebbe tornare a cercarci. Ci raccomanda di essere “astuti come serperti” e non “candide come colombe”, senza sottovalutare le parole gentili che ci raggiungeranno in modo subdolo, con fare materno o paterno. Non si può ingannare la propria anima. In giro c’è un esercito di parolai, falsi mercanti, e donnette di periferia. Alcuni di loro vivono come vegetali, altri come parassiti. Nel prodigio della poesia – la forma più alta di scrittura – la passione e la dolcezza dell’amore convivono nel prodigioso binomio di un frammento di eterno. La scrittura è una distesa sensoriale dove l’identità è sacra e inviolabile e la ricerca un bene prezioso di tutti e non proprietà esclusiva dei privilegiati. Bisogna fuggire da coloro che turbano il nostro equilibrio. Siamo i rami e il tronco della vita, siamo radici e ci rifiutiamo di incarnare le ombre di un gomitolo. Il canto della vita non è una scommessa, né una partita di calcio o di scacchi. Bisogna lasciare riposare le parole, come la farina nel lievito madre, la conchiglia nella sabbia. Dobbiamo essere il fruscio delle palme che piangono ma alla fine si riconciliano con il vento, chiuse dentro un dolore percepito in ritardo che lascia il tempo che trova. Ma non sono proprio i fatti che descrivono la Storia? Il dialogo culturale e intellettuale deve munirsi di scudo, e del rasoio di Ockham per raggiungere e rafforzare lo scalo prefisso, il porto sicuro. Ma è destinato a fallire dove l’ego trionfa immeritatamente a danno degli altri. Chi lo sostiene rischia di raccogliere solo cenere. Abbracciamo ciò che ci fa sentire bene e le persone che generano luce facendoci assaporare il succo della loro presenza, allontanandoci dallo squallore che continua a turbare la nostra serenità. Non tutte le cose possono mutare, ma noi possiamo cambiare. Credo che sia proprio il nostro cuore il giardino dell’Eden. Lì la mente umana trova forza nel suo limite e riesce a costruire ponti, porti, e cieli senza fine per potere fare volare il proprio dolore oltre le stimmate e le catene sanguinanti dell’intelletto. In un caleidoscopio di immagini si riflette il tempo interiore, sempre teso tra ricerca e speranza, come un filo nel labirinto dell’inconscio. Non è forse vero che tutto rinasce dal caos?
Imparate a brillare da sole senza indossare stracci di speranza, anche se l’accattonaggio va molto di moda sui social e non solo. Siate come la neve al crepuscolo quando bacia la rosa e il vento che si alza improvviso stacca la pigna dal ramo e cadendo lievita la guancia. Fuggiamo e fuggiremo dalle ambiguità con le quali adornate dita, braccia, collo, orecchie con finti monili che brillano nell’indescrivibile squallore come cocci di bottiglie al sole. Fatelo prima che l’acqua si addormenti e il sonno vi trascini nella palude. I falsi profeti appaiono come angeli caduti dal cielo, ma nelle vene hanno il sangue dei demoni, si credono invincibili e seminano odio come il miglio. Sono sparsi ovunque, sono squali che corrono attirati dall’odore del sangue. Queste personalità fasulle cadranno prima dei funamboli che oscillano sul filo del trapezio: sono gli acrobati moderni in cerca di una “fama” contesa. Saranno rami trascinati dal vento e gettati alla deriva. Non hanno progetti e non intendono studiare, ignorano il sacrificio, sono privi di sensibilità e di scrupoli. Non provano alcuna vergogna a chiedere, o meglio elemosinare favori, come essere votati in inutili concorsi pilotati nell’oscurità. Tutto questo per ottenere qualche like in più che consenta al piranha di turno di sovrastare le pagine altrui con condivisioni asfittiche etag in continua centrifuga. Tra megalomani e invasati, il mondo invecchiando peggiora. Siamo accerchiati da chilometraggi di foto attaccate ovunque come francobolli, simili a quelle esposte sulle lapidi. Ma, oltre a tutte queste ridicole apparizioni, tutta questa gente che vende “fumo taroccato”, che cosa ha prodotto di suo? Dal corvo all’asino, anche il bue, l’oca e il cervo traducono. Molti si affidano al traduttore automatico, che come loro è privo di emozioni, non pensano neppure a sistemare i verbi e gli aggettivi né si preoccupano di dare un senso alla scrittura. Sono osannati come “traduttori”, naturalmente danneggiando il malcapitato inconsapevole di tale obbrobrio, ma non meno colpevole dell’ingiusto applauso ridicolo, che viene rivolto da chi già sa e più si rende conto in quale melma il mondo stia sguazzando. Tutto ciò che è artefatto è partorito da una ignobile menzogna e quindi deleterio. Nessuno può sostituire la natura umana a cominciare dall’intelligenza artificiale. Basta pensare ad un’aspirapolvere. Esso recupera le briciole e la polvere, ma senza averle generate, così è per le parole che vengono tradotte dagli improvvisati traduttori, e, a questo fanno seguito una sfilza di meriti per lavori letterari inesistenti, tipo definirsi saggisti, editori, poeti, giornalisti, critici letterari, etc. Sono acefali, e dall’alto della loro funivia la loro energia è a km zero. Tradurre poesia è molto difficile e non rende mai giustizia a chi la scrive. Più è bravo il poeta che traduce è più è alta la resa, figlia della verità. Il mio carattere è incorruttibile, non mi genufletterò mai alla disonestà né ad alcun tipo di ricatto. Non mi sottometterò mai alla menzogna. Lo studio è sacrifico, rinuncia, dolore, speranza, ignoto che ci permette di vivere molte vite. Riempie i buchi che lascia la nevicata quando la “memoria” vacilla. Solo il candore dello studio ci può rendere umani ed unici sul palcoscenico delle emozioni, lontani ed estranei da una gabbia dorata di sbarre e di illusioni. La nudità della mia anima mi farà da tomba e su di essa non cresceranno mai i fiori della menzogna. Attraverso lo studio incontreremo le sabbie mobili, ma anche strade spinose che si trasformeranno in oceani azzurri e colline fiorite. Non troveremo pareti di serpenti pronti a stritolarci o a inocularci veleni. Il cuore sarà libero di volare come le rondini che non temono gli spari che le sfiorano, che pur non sapendo dove le condurrà il viaggio e nonostante la tempesta avanzi, saranno in grado di costruire il loro nido nel momento in cui incontreranno il primo raggio di sole. Queste comparse sono in continuo aumento, ed hanno un ritmo anomale, schizofrenico. Ottenuto il “contentino” del momento, si rivolgono ad altri individui con il solo scopo di ottenere visibilità, senza alcun ritegno. Fanno parte di quella categoria di persone che hanno sviluppato il senso del diritto ma non quello del dovere. La cultura è sangue, sacrificio, rinuncia, niente cabaret ma fatti. Si sfornano centinaia di antologie, un minestrone insipido tanto per apparire, poi, si passa alla seconda e così via a riempire pagine dannose per i veri poeti e scrittori. Si spreca inchiostro per scrivere nomi di scarso valore non solo letterario, ma spesso anche etico, sociale e morale. Sono tutti in mostra come tanti esemplari che scappano da uno zoo e tutti degni di partecipare alla “Corrida” (trasmissione televisiva italiana “Dilettanti allo sbaraglio” diretta inizialmente dall’indimenticabile Corrado e ancora oggi dal bravo Amadeus). Quindi ci domandiamo: “Queste persone cosa hanno scritto? Quale critico accreditato italiano o straniero ha speso una sola parola per loro? Quale critica hanno da fare valere in un contesto letterario?” È una corsa inutile la loro anche se cercano, assatanate come sono, di danneggiare oltre che scopiazzare e rapinare idee e scritti che appartengono ai veri talenti e con i quali non potranno mai competere. Il loro è soltanto un gioco d’azzardo destinato a fallire, come tutte le cose prive di basi solide e veritiere. Spesso combatto con i miei pensieri, preferisco essere orfana ma non allontanarmi mai da ciò che è luce e calore. Ma i presuntuosi gigolò della parola preferiscono zittire per non urtare i millantatori, i falsi talenti, gli usurpatori, i bugiardi, i violenti in cambio di una “passerella”. Non capiscono il male che si fanno rifiutando di essere se stessi in nome della giustizia e della verità ultima. Bisogna prendere le distanze da questi gruppi, dalle loro vendette e maledizioni, dalle loro prevaricazioni e provocazioni. Avrebbero voluto sopprimermi se solo avessero potuto perché era l’unico modo che avevano per emergere. Nella vita la scrittura è come la musica, sostituisce le note, il cuore è un pentagramma dove la speranza è la chiave di Sol che non permetterà che venga falciato il cuore degli innocenti e degli esuli. Avrebbero voluto sostituire l’amore con l’odio affinché non si potesse riscoprire il rispetto, la lealtà, il conforto, la pace, la sicurezza dell’essere, i valori della vita e la condivisione della bellezza. In questa folle corsa non si fermano neppure durante le festività del Natale, ignorano il senso di questa Festa. Non pensano neppure per un attimo alla povertà in cui versa il mondo, allo sfasciume umano, religioso, all’uso e all’abuso di armi che partoriscono montagne di morti e di macerie, mentre il sangue si allarga a macchia d’olio. Non pensano ai tanti derelitti che dormono nei letti fatti di cartone, o all’addiaccio sotto i ponti, ai bambini che passeggiano nelle piazze, tremanti come foglie in attesa di stringere una immaginaria moneta che non arriverà mai. Nessuno pensa agli animali affamati inzuppati di pioggia e fango quando vengono inghiottiti dal gelo mortale della notte. Poi troviamo i poeti improvvisati che spuntano come funghi velenosi usando i bambini come macerie, maltrattandoli nei loro versi, ma senza fare nulla per scongiurare la fame e il dolore di questi innocenti. I loro corpicini secchi e dismessi somigliano a tanti alberi di Natale. Le lacrime che scendono dagli occhi, più grandi dei loro volti, fanno da addobbi con il loro amaro luccichio. La priorità di questa tragedia non tocca nessuno, ma viene data ai fasulli concorsi. Si fingono amici e fanno di tutto per farti cadere nei loro tranelli accecati dalla gelosia e dall’invidia. Armati sino al midollo di vendetta si muniscono di armi verbali “sofisticate” per screditare coloro che non potranno mai superare. Si inventano di tutto e spesso escogitano con furbizia e ricatti, di apostrofare il nome della vittima prescelta per metterla “in ombra” – con relative foto ovviamente all’insaputa della malcapitata – intimando sfacciatamente all’interlocutore: “Se pubblichi questa, con me hai chiuso”. Ne consegue che se l’altro ha interesse ad apparire (scambio vile e disonesto) il gioco è fatto. La puzza del malaffare è maggiore di quella leggendaria delle stalle di Augia. I due falliti firmano il losco patto e il gioco è fatto (almeno momentaneamente) ma col tempo, maestro di vita, tutto il letame viene a galla, in quanto la verità pur zoppicando arriva. Molte persone sono affette dalla Sindrome di Procuste, spietate verso la sola persona che non sono riuscite a manovrare, diventano cattive e pericolose per la società. Pur essendo riconosciute come personalità disturbate sono elogiate da vari “compari” e compagni di sventura per un loro tornaconto, in cambio di favori che nulla hanno a che vedere con i veri scambi culturali. E proseguono ad osannarle per ottenere visibilità; parliamo delle stesse persone che solo qualche giorno addietro le avevano criticate e descritte con i peggiori attributi. Fortunatamente qualcuno ha fatto in tempo a “metterle alla porta”, disgustato e indignato da quel persistente comportamento ostile e prevaricatorio, allontanandole per sempre dalle loro sedi giornalistiche. La povera arpia, responsabile di quei fatti incresciosi, aveva dimenticato che in casa di altri si è ospiti e non padroni.
Si coniuga in continuazione il verbo pretendere, tutti chiedono senza neppure conoscerti come se gettassero l’esca in mare aspettando che il pesce abbocchi all’amo.
Nessuno di loro si domanda cosa sia in grado di offrire e a che titolo dovrebbe ricevere qualcosa, spesso da illustri sconosciuti. Un ruolo pietoso l’ho riscontrato nelle donne, in questi tempi moderni di libertà o meglio di libertinaggio, che pur essendo passabili, e a volte anche belle, hanno gli occhi freddi, e mostrano a chi è in grado di saper vedere oltre lo sguardo, il loro interesse e l’assenza glaciale della loro anima. Ignorano che l’adolescenza non ha domani, che il corpo è preciso più di un orologio, che segna il tempo senza avere pietà di nessuno. Pensano di essere i depositari della verità, che il merito è di loro esclusiva proprietà, dimenticano che tutta la vita è racchiusa in una sola stagione, tanto è breve il tempo dell’uomo rispetto all’infinito. Nessuno di loro ci pensa, il loro interesse principale è prevaricare, tutti presi da egoismo e narcisismo dimenticano che nessuno è eterno e che ogni cosa è destinata a finire. Dimentica che siamo ospiti sulla terra e non padroni e con il passare degli anni ci rendiamo conto che la nostra vita, che sembrava eterna, è stata soltanto una giornata di sole. Non si lotta più per la libertà, hanno dimenticato che la cultura è la culla delle civiltà e il compito del poeta e dello scrittore è quello di educare alla pace. Nessuno parla di pace, l’importante è barare. Il mondo non è più la nostra casa ma un aeroporto, un porto, una spiaggia, una piattaforma impazzita dove in molti cercano di barare fuggendo dalla verità. In giro si vedono poveri diavoli falliti e cocotte in cerca di celebrità in compagnia di mediocri prestigiatori. Si espongono come tappeti sulle spiagge, come frutti sulla bancarella di un mercato, in vetrina come souvenir o pezzi d’antiquariato, nelle edicole e sui social. L’Italia è stata la capitale della cultura nel mondo, quella che ha dominato nei secoli quando “Roma era caput mundi”. L’Italia prese il nome della Calabria che anticamente si chiama Italia Prima, una regione del sud, a forme di stivale dove io sono nata, cresciuta e ci vivo. Tutta la storia è racchiusa in un’Opera Antologica che ha per titolo “Calabria Italia prima- Tremila anni di Storia Arte e Cultura nella Terra Dei Miti” pag. 368 a cura del regista e scrittore Paolo Borruto. Pochi sanno che la semplicità è l’abito più bello da indossare. Colui che non educata alla pace e vuole la guerra sotto molteplici aspetti disprezza la vita. Espongono sulle bancarelle, durante concorsi ripetendo versi “usurati” dall’uso e dall’abuso, nel tempo- come la zappa che il contadino passava al figlio dopo averla ereditata dal padre e lui dal nonno: frasi che non sanno di niente. Mi sovviene il frate francescano, il filosofo e politico Guglielmo di Ockham, Professore nel 1319 a Oxford e il suo importante modello mentale sulla brevità del discorso dove spiegava quanto fosse importante e preziosa la “polpa” se condensasse il pensiero senza portarlo a lungo termine, senza ricavarne nulla se non un rebus irrisolto, per altri versi mi torna in mente il poeta Geppo Tedeschi (tra i padri del Futurismo) che anche nella poesia chiedeva: “sintesi, sintesi, sintesi”. In una recente intervista fatta al grande Personaggio AstritLulushi, filosofo, storico, critico letterario e d’arte, poeta e giornalista di “La Voce dell’America”, scrittore di nazionalità albanese ma cittadino americano da circa quarant’anni, a proposito dell’esperienza culturale degli Autori così mi rispose: “Il talento e l’esperienza di vita rimangono la base di ogni scrittura, come in ogni altra cosa. Ciò che devo chiarire è: “Fate ciò che dovete fare, non ciò che dovete sapere”!
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Sorge spontanea una domanda: se per ipotesi escludiamo gli uomini dal circuito mediatico– e in verità sono in numero assai minore rispetto alle donne – alla prima segue una seconda domanda che ci obbliga a riflettere: ma queste donne, angeli del focolare, lontane anni luce dal famoso detto, non hanno una casa, una famiglia, un marito, dei figli, un lavoro, un’attitudine che non sia solo quella di mannequin? Chi sono queste figure nella realtà? Cosa fa questa pletora, come mina vagante perennemente schiava della visibilità al punto di annullare se stessa e la famiglia perpetuando come una slavina 24 ore su 24 come se fosse in uno stato ipnotico a tempo indeterminato? Dove sono le vere madri, le sorelle, le amiche, i parenti, la famiglia, il cuore pulsante del nucleo umano e sociale? Il regresso ha superato il progresso. Morte le emozioni, si vive di immagini che hanno la freddezza del marmo. In giro menti offuscate, pensieri molesti, drammi, scheletri ambulanti, strane figure che si trascinano come un branco di nubi- Le loro frasi sono soltanto gusci vuoti, ma per chi non è sprovveduto avvertirà gli artigli e sentirà scattare la trappola per topi. Predicano bene e razzolano male. Sono convinti di prendere in giro tutti parlando di pace, di benessere e di fratellanza, al punto tale di esporsi con la solita faccia di bronzo, di scrivere e divulgare leggi comportamentali che riguardano gli altri, e che invece loro usano come decorazioni. Quando l’uomo annullerà se stesso, e la donna continuerà a perpetuare nel suo libertinaggio invertendo il ruolo di belvinità che spesso ricopre, per poi fingersi vittima delle situazioni che lei stessa ha creato, non ci sarà alcun futuro per gli innocenti. Non ci saranno vittorie e nella profezia non lontana sarà destinata a morire anche l’ultima rosa della sconfitta umana. Vedremo l’alba agonizzare, mentre in silenzio, la Morte offrirà ad ognuno di noi il proprio latte.
Nota*
“La poesia della Liuzzo mi sembra ci dica la storia dell’anima completamente schiacciata e annullata dalla vita esistenziale. Se questo fosse tutto, non sarei qui oggi, per rendere omaggio ad una voce non solo sommamente poetica ma anche visionaria e profetica. Se nove decimi del testo constano di una denuncia terribile delle vite umane, sia nella storia che nell’attualità, un decimo ci riserva la speranza, la fede e la grazia, in quanto partecipiamo all’infinito, il sacro, il Divino…” Il discorso della Liuzzo sembra essere simultaneamente e indissolubilmente su tre diversi livelli di corpo, psiche e spirito. Questo sarà per la mente razionale o puramente logica un inciampo quasi insuperabile, ma per la mente immaginativa e intuitiva, cioè la mente integrale, totalizzante, omnicomprensiva, sarà una fonte di energie e visione, nonché di gioia…”. Per citare il filosofo spagnolo José Bergamin: “La poesia ebbe – quando volle / più che un voler sapere, un sapere / che non voleva: che è un sapore di poesia / O saggia sapienza! assaporare il non essere…” E questa saggia sapienza espressa da Maria Teresa Liuzzo in un linguaggio sommamente poetico che mi attrae e mi incanta. Si può paragonarla a quello splendido capitolo 17° della Sapienza di Salomone che tratta “i prigionieri delle tenebre” (che siamo noi).
Peter Russell
Reggio Calabria 18.11.1993, Teatro Comunale F. Cilea
Presentazione della silloge Apeiron di M.T. Liuzzo