“Se pa gjak liri nuk llambaris”: le tappe dell’indipendenza albanese
Di Francesco Marchianò
Nel primo decennio del XX sec. la Turchia, la “grande ammalata d’Oriente”, attraversa gravi crisi interne ed esterne come la rivolta dei Giovani Turchi (1908), che depongono il sultano Abdul Hamid a favore del proprio fratello conservatore Mehmet, e la guerra con l’Italia (1911-’12) che la mutilerà della Libia e di alcune isole dell’Egeo.
Fu proprio in occasione di questa guerra, che impegnò la Turchia in risorse economiche ed umane, che le popolazioni albanesi, in tumulto da alcuni anni, si ribellarono costringendo le guarnigioni ottomane a ritirarsi dai territori occupati da oltre cinque secoli.
L’Albania, infatti, fu l’ultimo stato balcanico ad affrancarsi dal giogo turco e, soprattutto nel XIX sec., si vide privata di territori che furono ceduti agli stati slavi confinanti ogni qualvolta questi, sostenuti dalla potenza zarista, entravano in guerra con la Turchia sconfiggendola.
A Valona, il 28 novembre 1912, l’anziano Ismail Qemali bej Vlora, proclamò l’indipendenza dell’Albania sventolando la rossa bandiera schipetara con l’aquila nera bicipite su un popolo prostrato da secolari rivolte, represse sanguinosamente, da un’economia arretrata e dalla negazione di ogni espressione di identità culturale e linguistica.
Nel XIX sec., eminenti figure albanesi – N. Veqilharxhi, P. Vasa, i fratelli Frashëri ed altri non meno importanti – svilupparono un’intensa attività patriottica e culturale mirante a sensibilizzare i clan albanesi e a far conoscere all’Europa ed al mondo intero la “questione albanese”.
Il grido di aiuto di questi intellettuali non cadde a vuoto ma fu accolto dagli Albanesi d’Italia – gli Arbëreshë – presenti nell’Italia Meridionale dal XV sec., i cui discendenti mantenevano un legame ideale e culturale con l’antica patria.
Fra le figure arbëreshë citiamo Girolamo De Rada (1814-1903) che con le sue opere e la sua attività patriottica fece conoscere all’Italia e all’Europa la presenza della nostra minoranza etnica e la terribile situazione in cui vivevano gli Albanesi. De Rada, durante la sua lunga ed ammirevole esistenza, profuse alla causa albanese ogni forza fisica ed economica spegnendosi nella povertà e nella solitudine. De Rada, con la sua prima rivista “L’Albanese d’Italia” (1848 –’49) propugnava l’idea di liberazione dell’antica patria e pubblicava i contributi politici e culturali degli Albanesi d’Italia.
Non meno importante fu il contributo dato da altri intellettuali e patrioti arbëreshë come F. A. Santori, Zef Serembe, Gabriele Dara, Giuseppe Crispi, Gerardo Conforti, p. Leonardo De Martino, ….
L’eco delle rivoluzioni europee, intanto, ebbe ripercussioni anche nella Balcania dove gli stati sottomessi ai Turchi lottarono per la propria indipendenza, come la Grecia nel 1821, mentre altri ottennero maggiore autonomia in seno all’impero ottomano mentre all’Albania venivano negate le più elementari richieste.
Fu dopo l’indipendenza bulgara (1878), che vide tra l’altro l’Albania privata dei territori di Plava e Gucia cedute dai Turchi al Montenegro, che le personalità della politica e della cultura schipetari cercarono di unificare le forze per darsi una piattaforma comune di lotta.
Fu così che, il 10 giugno 1878, Abdyl Frashëri convocò a Prizren tutti i capi clan e le personalità di rilievo della nazione albanese nell’omonima lega, superando ogni credo religioso ceto sociale, che si unirono con la parola d’ordine «Një gjak – një gjuhë – nje komb». La storica iniziativa fu salutata con entusiasmo dagli Arbëreshë e da note personalità dell’epoca attraverso gli organi di stampa nazionali ed esteri.
La piattaforma rivendicativa, mirante alla liberazione ed emancipazione dell’intero popolo albanese giacente sotto l’impero ottomano, constava di questi punti essenziali: maggiore autonomia politica ed amministrativa, apertura di scuole e formulazione di un unico alfabeto, denuncia del Trattato di S. Stefano (1878) e difesa dell’integrità territoriale albanese.
La Sublime Porta, inizialmente, fece finta di ignorare questa presa di posizione, ma in seguito intervenne energicamente quando, nel 1881, gli Albanesi guidati da Sulejman Vokshi, difesero Plava e Gucia.
La Lega venne sciolta dai Turchi nel 1881, ma ciò non impedì il rifiorire ed il propagarsi di un’intensa attività politica e culturale in Albania e nella Diaspora nel trentennio 1880-1912.
Un passo importante fu fatto in Italia quando, con decreto ministeriale, venne istituita la cattedra di lingua e letteratura albanese, nel Liceo-ginnasio italo-greco di S. Demetrio Corone, che venne affidata all’anziano Gerolamo De Rada, che avrà come suoi alunni eminenti personalità della cultura schipetara: il prof. Xhuvani, Luigj Gurakuqi, Avni Rustemi, il pittore Ndoc Martini, ….
Il De Rada, inoltre, era riuscito a legare a sé, ed alla causa nazionale, alcune eccellenti figure di albanesi come la principessa rumena, di origine schipetara, come Elena Gjika (Dora d’Istria), la baronessa austriaca Giuseppina Knorr, Thimi Mitko, che dirigeva i circoli albanesi di Alessandria d’Egitto.
Tra le attività più concrete degli Arbëreshë, nel periodo della Rilindja, furono la nascita di riviste in lingua albanese, l’organizzazione di congressi e la nascita dei comitati Pro Patria a Roma, Napoli e nei paesi arbëreshë che annoveravano decine di iscritti.
Fra le riviste citiamo “Fiamuri i Arbërit” (dal 1883 al 1887), con De Rada fondatore ed editore, che accolse i contributi delle migliori menti arbëreshë, nella testata compariva il programma deradiano “L’Albania agli Albanesi”; altra rivista fu “La Nazione Albanese”(dal 1897 al 1924), fondata e diretta da Anselmo Lorecchio di Pallagorio, che pubblicava le proteste degli Albanesi contro le Grandi Potenze nonchè le corrispondenze provenienti dai vari paesi arbëreshë e della Diaspora; “Illi i Arbëreshvet” (1895-’97) con il papàs Antonio Argondizza di S. Giorgio Albanese che propugnava le esigenze di unificazione linguistica e la formulazione di un alfabeto comune; la “Nuova Albania” (1898) di Gennaro Lusi; “La Gazzetta Albanese” (dal 1904) di Manlio Bennici; “La Rivista dei Balcani” (1912) di Terenzio Tocci.
Bisogna dire i vari comitati italo-albanesi e le relative testate portavano avanti posizioni politiche contrastanti fra loro che spesso sfociavano in accese polemiche. Alcuni di loro sostenevano le tesi di una futura Albania a regime repubblicano ed altri, invece, monarchico – con la proposta di sovrani da operetta discendenti, o no, dalla famiglia Castriota – legato a casate asburgiche o italiane.
Per quanto riguarda i congressi citiamo il 1° congresso linguistico di Corigliano Calabro, dell’ottobre 1895, organizzato da De Rada; il 2°, invece, fu tenuto a Lungro, nel febbraio 1897, che vide la partecipazione di eminenti figure albanesi rifugiate in Austria ed Egitto.
A Napoli, dove era presente una numerosa colonia di Arbëreshë e Schipetari, il 24 febbraio 1897, si tenne un convegno ne“… con lo scopo di costituire un comitato politico albanese, che avesse la sua diramazione in tutte le colonie, per propugnare l’indipendenza degli Albanesi” (G. Laviola) mentre in Calabria operava già un altro comitato con il fine precipuo di promuovere l’unità linguistica e culturale presso gli Albanesi.
Il 3° congresso linguistico (1901) ed il 4° si tennero a Napoli (1903), in quest’ultimo il dott. Agostino Ribecco (Spezzano Albanese 1867-1928) propugnò energicamente i seguenti punti:
“1) che venga riconosciuto ufficialmente la Nazionalità albanese; 2) che non sia più permesso allo straniero di impacciarsi di ciò che succede tra gli Albanesi in casa propria; 3) che sia riconosciuto all’albanese il diritto di progredire coltivando la madre lingua e che questa sia autorizzata ad usarsi negli uffici religiosi; 4) che si tenga in massimo conto della capacità personale dei funzionari albanesi incaricati di assicurare il buon funzionamento delle leggi; 5) che una parte delle imposte prelevate in Albania si spendano per la costruzione di scuole nazionali e di vie di comunicazione in Albania, allo scopo di civile progresso nazionale e di facilitare il commercio”.
A margine di queste vicende, mi corre l’obbligo di inserire il testo del telegramma, senza data, ma del 1897-‘98, inviato al Comitato Politico Albanese di Napoli da parte di alcuni studenti arbëreshë del liceo-ginnasio di Cosenza: “Studhentrat shqipë te Kosencës me gjithë zëmër bashkoghen me ju, mëmëdhetarë shpirt-mëdhenj, me shpresë t’afroni kohen e luftes, se pa gjak liri nuk llambaris”. L’ardente ma prezioso dispaccio è firmato da: Cosmo Serembe, Flavio e Guido Tocci (S. Cosmo Albanese), Giovanni Rinaldi e Salvatore Guaglianone (Spezzano Albanese), Delfino Fazio (S. Giacomo di Cerzeto), Angelo Troiano (Plataci), Nicola Vaccaro di Aquilano (Lungro), Salvatore Braile (S. Demetrio Corone), Ludovico Placco e Francesco Castellano (Civita) e Oreste Musacchio (Cerzeto).
Ma anche la Diaspora schipetara fu molto attiva in questo periodo in varie parti del mondo. Citiamo a tal proposito l’attività letteraria di Thimi Mitko (Bleta shqiptare, 1878) presso le comunità albanesi di Alessandria d’Egitto; quella instancabile di mons. Fan Noli che, con la società «Vatra» di Boston e la rivista “Dielli”, riuniva attorno a se la Diaspora albanese presente negli USA; la società «Dituria» di Sofia che aveva una propria tipografia che dava alle stampe la rivista “Drita” e pubblicava le opere di autori arbëreshë e schipetari; la società “La Giovine Albania” di Bucarest e poi le riviste “Lajimtari i Shqiperise”, “Kombi”, “Shpresa e Shqiperisë” …
Ma quali furono i frutti di questi sforzi comuni?
In Italia, oltre alla citata cattedra di lingua e letteratura albanese di S. Demetrio Corone, venne istituito, a Napoli, il prestigioso Istituto Orientale comprensivo della cattedra di Lingua e letteratura albanese; in Albania, invece, e precisamente a Korça, venivano aperte le scuole «Mësonjëtorja shqipe» (1887) e «Shkolla e Vajzave» (1893), nonostante le persecuzioni e le minacce messe in atto dalle autorità ottomane contro gli insegnanti.
Un fatto di portata storica fu, con certezza, il Congresso di Monastir (14-22 novembre 1908), in cui i rappresentanti albanesi si riunirono per dare alla propria nazione un alfabeto comune che non risentisse delle influenze culturali e religiose presenti allora in Albania. Il Congresso, diretto da Gurakuqi, Mjeda, Grameno ed altri esponenti di rilievo, presero in considerazione anche le istanze mosse precedentemente dagli Arbëreshë. L’unificazione dell’alfabeto permise un’agevole diffusione delle idee e fece acquisire alle Grandi Potenze che l’Albania si stava avviando, seppur con enormi difficoltà oggettive, alla sua piena autonomia culturale, preludio di quella politica.
Agli inizi del 1911, l’arbëresh Terenzio Tocci, sbarcato in Albania, giunto nella Mirdizia, con l’aiuto dei clan di Oroshi, proclama un’effimera repubblica albanese. Il fallimento di questa forma politica fu imputato al mancato coordinamento dei clan e, soprattutto, al governo italiano che impedì la partenza delle forze volontarie che dovevano sbarcare in Albania in aiuto al Tocci. In effetti l’Italia non voleva creare problemi con le altre potenze in quanto stava meditando già di appropriarsi della Libia, protettorato turco.
Pochi mesi dopo il tentativo di Tocci, tutte le forze albanesi – in armi da anni – insorsero, dalla Malësia e Madhe alla Çamëria e da Kaçaniku (Kosova) a Vlora, mettendo in fuga le guarnigioni turche e convergendo su Vlora, dove per la prima volta dopo cinque secoli, senza paura e con orgoglio, il rosso stendardo di Skanderbeg poteva sventolare sul libero suolo della giovane Albania.
Çifti/Civita, 4 gennaio 2013.