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DUE NUOVE RACCOLTE POETICHE DI MARIA TERESA LIUZZO

”GENESIS”  E ”MIOSOTIDE”

 DUE NUOVE RACCOLTE POETICHE DI MARIA TERESA LIUZZO

 di FRANCESCO DI NAPOLI

 

 

 

Il compianto, grande Poeta inglese Peter Russell in una delle sue ultime lettere mi confidò d’essere strenuamente impegnato nella traduzione in lingua inglese della complessa poesia di Maria Teresa Liuzzo, che all’epoca conoscevo soltanto di nome. Nonostante versasse in precarie condizioni di salute, Peter Russell ( cugino del più noto Premio Nobel per la Letteratura Bertrand Russell, ) tradusse alcuni miei epigrammi scelti a campione, assicurandomi che, appena terminato l’impegno assunto con la Poetessa Calabrese, avrebbe messo mano alla traduzione sistematica del mio intero corpus epigrammatico. Purtroppo, la morte ha sottratto ai suoi innumerevoli amici, allievi d’estimatori questo genio assoluto della poesia di tutti i tempi, amato per la sua grande generosità e nobiltà d’animo, oltre che per la dedizione totale alla causa culturale. S’intitola Genesis ( 2008 ) la ponderosa raccolta di poesie di Maria Teresa Liuzzo, corredata, con testo a fronte, dal laborioso lavoro di traduzione del Maestro di Bristol. E’ un’opera monumentale della quale s’avverte la ”nascosta dolcezza”, osserva in una Postilla a chiusura del volume Mauro Decastelli, uno studioso capace di sempre ulteriori approfondimenti, per nulla pago della Prefazione – circa un centinaio di pagine – da lui firmata al volume – laddove aveva già esaminato a fondo la poesia dell’autrice. Invero, sarebbe difficile per chiunque aggiungere altro alla circostanziata analisi critica contenuta nello studio di Decastelli, dal titolo Immaginazione desultoria, erratica? Un’ipotesi di lettura. Una ”matassa” di pensieri incredibilmente meticolosa, stimolata e trafitta dalle ”frecce delicate” d’una ispirazione poetica inarrestabile e travolgente, che il Prefatore reputa dotata della ”melodia” dell’assoluto. Decastelli affronta il discorso sulla funzione e il fine della poesia recuperando il senso di quella ”filosofia della natura” per la quale la poesia, ”come grandezza speculativa e amante del mistero, aiuta ad avvicinare i margini del conoscibile attraendo nella giustificazione estetica dell’universo, fornita della sua decifrazione immemoriale, le consapevolezze di più discipline, nella curvatura del pensiero che l’intuizione consente come prodigiosa sostituzione”. Si tratta, chiaramente, dei valori perenni della ”classicità ” originari dell’Ellade ma che finirono per trovare nella Magna Grecia, ovvero nel Mezzogiorno d’Italia, la loro attuazione più fedele e completa. Il verbo poetico di Maria Teresa Liuzzo sembra dunque possedere la ”fragranza solare e policroma” della natura, chiamata a reinterpretare e far rivivere gli antichi miti della sua terra: ”Le parole, da cui tralucono visioni e ricordanze, fuoriescono libere, in tono uniforme ovunque, e uniformi il ritmo, lo stile, il lessico.” Le acute riflessioni di Peter Russell – custode di una dottrina quasi iniziatica e dotato d’un sapere enciclopedico -, figurano tutte di seguito a chiusura del volume, a mo’ di Postfazione. La prima delle sue relazioni s’intitola Maria Teresa Liuzzo : una voce poetica e profetica, e riproduce il testo della conferenza tenuta da Russell nel Teatro ”F. Cilea” di Reggio Calabria il 18 novembre 1995, in occasione della presentazione della raccolta di poesie Apeiron ( Jason Ed., 1995 ) Il Maestro inglese con estrema lucidità e chiarezza evidenziò i punti cardine di questa poesia: da in lato Maria Teresa Liuzzo canta ” La storia dell’anima schiacciata e annullata dalla vita esistenziale”; dall’altro ” ci riserva la speranza, la fede e la grazia, in quanto partecipiamo all’infinito, al sacro, al Divino.”. Tutto ciò spiega il titolo della silloge, Apeiron, ” l’infinito, il non limitato”, con precisi riferimenti alla filosofia pitagorica. Russell aggiunge: ”Nella metafisica pitagorico- platonica i numeri dispari sono infiniti, quelli pari sono finiti. (…) Le qualità come amore e avarizia sono illimitate; le cose, la materia, finite. Ma si badi: nel mondo intellegibile sono le cose spirituali ad essere dotate di un limite, mentre la materia, o il caos, è illimitata, amorfa e senza forma.”. Da questo contrasto che ricollega la poetica dell’autrice, seppur involontariamente all’insegnamento di F. Nietzsche, scaturisce il senso di ”angoscia” e di ”ansia” sempre incombente in questa poesia. anche se Liuzzo riesce a liberarsene oltrepassando, grazie alla ”mente immaginativa” – non puramente ”logica” -, ciò che Russell definì l”’agonia” del presente e i tormenti del domani. Perché è la ”vita sconosciuta” – conclude Russell.

– la vera ”fonte di energia”, visione e gioia”.

In una delle tante liriche, All’universo incline, la Poetessa pare avvalorare tale concezione: nel ”mimetismo dell’attimo” risiede la possibilità concreta di spogliarci della nostra misera ” corazza d’angoscia”. E’ doveroso sottolineare altresì quella che, a mio avviso, rappresenta una delle prerogative magistrali di questa poesia straordinaria, consistente nella capacità di analizzare e approfondire in maniera assolutamente originale problematiche comunemente avvertite nella società, sia a livello popolare che nella ristretta cerchia degli ”intellettuali”. Maria Teresa Liuzzo vive intensamente le vicende del suo tempo e le sperimenta su di sé, rielaborandole a livello filosofico esistenziale e quindi plasmandole liricamente con armoniosa immediatezza e scioltezza.

 

Peter Russell aveva colto nel segno quando, parlando del ruolo del poeta – ma tenendo, ovviamente, lo sguardo ben puntato su Maria Teresa Liuzzo -, citò dapprima W. Auden ( ”La Poesia non fa accadere nulla” ) e quindi P. B. Shelley ( ”I Poeti sono i legislatori non conosciuti dell’Umanità”). due affermazioni in apparenza contrastanti, in realtà perfettamente compatibili, anzi consequenziali. Il vero poeta tutto scruta, verifica e valuta, sempre tormentandosi e penando nell’ombra, e la sua voce apparirà tanto più satura di sapienza e di insegnamenti quanto più sarà in grado di testimoniare nel tempo le nefandezze altrui, al cospetto della propria ingenua integrità e innocenza. Sono molte le poesie nelle quali Maria Teresa Liuzzo dà prova di queste sue facoltà ”medianiche”. Prendiamo i versi iniziali, splendidi di Alla sorgente dell’ombra: ” / ” Alla sorgente / di quest’eterea ombra / il peso tutto giace / dell’universo: / siamo luce umana / nella folgore del sangue”. Anche Scudo di croci coglie perfettamente il malessere diffuso di un’umanità confusa, e sconvolta: ” Aggrappati siamo / al fumo di molecole / al maleficio / di questo senso -nonsenso / che inopportuno s’impone / come uno scudo di croci / nel labirinto umano”. Parte d qualcuno riflette invece la drammatica condizione giovanile, stretta tra dubbi, devianza ed emarginazione: ” Furono figli miei / tutti i figli del mondo / prima che la sguaiata illusione me li portasse via / assieme a questa nullità di anima”. E’ una voce che sa usare accenti decisi, anzi categorici, nel rivendicare implicitamente la funzione educativa e formativa della poesia e della cultura in generale. E lo fa con la massima avvedutezza, badando a non scivolare nell’enfasi delle frasi fatte, privilegiando quindi le immagini fulminanti e i lemmi asciutti e precisi, mai equivoci. Ma nella poesia di Maria Teresa Liuzzo non ci sono semplici e banali reminiscenze, suggestioni o echi della cultura classica tradizionale, quella a noi più vicina di derivazione greco- romana. Un’ulteriore conferma viene esaminando, in particolare la successiva raccolta Miosòtide. Non ti scordar di me ( 2009 ). L’impeccabile Prefazione di Mauro Decastelli ne fa risalire l’intima ragion d’essere, tra le varie componenti, ad ”un processo d’incentramento dell’assoluto nella forma, che può ricordare, pur mantenendo caratteristiche linguistiche diverse, il colore e la melodia del Cantico dei Cantici”. Sotterranea e sottile, s’intravede una persistente trama unitaria che attraversa e riannoda saperi anche arcaici – ivi comprese le luci e ombre della dialettica medievale -, e che sfocia nelle intense sollecitazioni avvertite dall’uomo nuovo risvegliatosi dal torpore dei ”secoli bui” E’ l’impellente fervore di idee dal quale proruppe il sentire acuto e lancinante del rivoluzionario Umanesimo, che aprì scenari inimmaginabili intorno al ruolo e all’identità del singolo, non solo all’interno della società civile ma nell’intero universo. Questo percorso è ben visibile nella poesia dell’autrice, se ne avverte percettibilmente l’essenza nella lunga serie di simbologie su cui poggiano molte delle figure retoriche ( similitudini, metafore, ossimori, ecc.) da lei creati con armoniosa e suggestiva dolcezza di toni. Sono, in definitiva, le fonti eterne e immarcescibili della cultura universale, che sempre rinasce dalle proprie ceneri e sempre si rinnova: per questo Peter Russell che Mauro Decastelli hanno tanto insistito sul concetto di ”pensiero poetico integrale”, che in Maria Teresa Liuzzo abbraccia e coinvolge la lezione di maestri come: E. B. Browning, J Donne, S. T. Coleridge, F. Holderlin, A. Rimbaud, R. M. Rilke, W. B. Yeats ed altri. Le tematiche sono quelle immutabili della condizione umana: l’amore, gli affetti, la gioia, il dolore, la memoria, le illusioni, le nequizie del mondo, il trascorrere del tempo e delle stagioni. In Miosòtide il discorso si fa più scoperto ed esplicito, nel senso che le ansie del vissuto rendono maggiormente evidenti le connotazioni metafisico – religiose già incombenti nelle opere precedenti, illuminandole di luce nuova, talvolta accentuandole e portando a coronamento esiti e soluzioni particolarmente ispirate. Alcune poesie si direbbero uscite inequivocabilmente da uno scriptorium medioevale, tanto sono cariche di inquieto e trepido pathos. Leggiamo alcuni versi di Non rendermi cieca: ”Non rendermi cieca, / scrittura, / tra i solchi del mare / e i misteri del cielo, / tu, mia ombra celeste, / madre e patria mia smarrite, e ritrovate fra i risvolti / del sangue e i solchi dell’aria.” C’è poi il fascino e il mistero dell’ignoto, che genera un senso di malcelata insoddisfazione e anche d’insofferenza: ”Ma il buio aveva in sé le ombre, / nuvole di pensieri e di ricordi: / m’aggrappai ad un’idea folle (…) / che tu accanto a ne fossi presente / e finalmente io mi sciogliessi / da catene,” ( da: Mi sembrava che tu portassi il sole ). Ma subito le ambasce vengono abbattute e superate con forza grazie a slanci sinceri, genuini. Leggiamo La parola è fuoco che rivela: ” Perfino l’onda dei tuoi capelli / nel pettine di mani sognate / è vela che percorre il mare / agitato del sangue / e il sale che si scioglie / sulla pelle (…) Altrove ci imbattiamo in atmosfere che rivelano un appagamento interiore intenso e piano, misurato, che evoca la fievole e impercettibile liricità di Saffo, come nei versi: ‘Ti avverto in ogni vena / della terra, / sotterranea sorgente, radice / che l’amore espandi / nelle chiome frondose / delle querce.” ( da Ti avverto in ogni vena ). Ed ancora: ” Così noi siamo / in certe sere, quando / i pensieri stanno vicini / come i nostri corpi / e l’amore leggiamo / negli sguardi”. ( da S’inabissano voli ). E’ un itinerario dell’anima che si prefigge con coerente continuità concettuale un riscontro costante ai propri interrogativi esistenziali, confrontandoli con il patrimonio di valori e di insegnamenti della storia della letteratura, non soltanto italiana. Tutto ciò appare ben evidente analizzando i contenuti di numerose altre liriche, quali: A volte penso cosa farai; Tu sei il verso; Mi sembrava che tu portassi il sole; Dio eterno e sconosciuto, nel silenzio; Fioriture nel campo dell’anima! Con la matura consapevolezza di chi sa padroneggiare idealmente gli strumenti linguistici di cui è in possesso. Maria Teresa Liuzzo ricongiunge idealmente, ma anche concretamente, le proprie sottili sperimentazioni semantiche al percorso tracciato dal genio creativo dei massimi autori d’ogni tempo, non ultimo Charles Baudelaire. Prendiamo, ad esempio, la stupenda poesia Volo d’albatro, scopertamente vicina ai tumulti interiori del maledettissimo europeo, ai quali però la Liuzzo assesta una non indifferente sterzata di positività, riscattandone la sostanza ultima dagli infausti rimasugli del dilagante nichilismo odierno: ” Volo d’albatro / sopra i ciliegi pensili / del cielo: / è il canto dell’alba / che richiama nuvole / d’amore raminghe / con le passioni / e col pensiero. / A nuova pace si riapre / il cuore e l’essere / riscatta dalle catene. / Anche il sangue intona inni / di vittoria e scorrono / in esso le stagioni / come fiori ( … )”. Un pensiero filosofico ”assoluto”, netto, penetrante, una ”freccia immobile” ( Decastelli ) pronta a folgorare, senza esitazione, emozioni, impressioni e stati d’animo. L’attimo fuggente ed eterno prende forma fino a diventare misteriosamente percettibile, epifanico, rischiarando con lampi accecanti le attese e i palpiti, le accidie e le miserie degli uomini.

 

 

 

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