Eugen Galasso: L’ombra affamata della madre
Prof. Eugen Galasso – Scrittore – Drammaturgo – Critico Letterario – Traduttore
Premessa: “L’ombra affamata della madre”, volume terzo della trilogia liuzziana, iniziata con “Adesso parlo…”(2019)e proseguita con “Non dirmi che ho amato il vento”, se, come anche per i volumi precedenti, l’introduzione saggistica di Marco D’Castelli è necessaria, essendo totalmente esaustiva, forse merita qualche ulteriore precisazione che spero non risulti, ancora una volta, pletorica.
A). Possiamo definire, più ancora che nel caso di “Non dirmi…” il libro un poemetto lirico, pur se, di primo acchito, la definizione sembra ossimorica, dato che il poema, ma in qualche modo anche il poemetto, rimanda alla composizione poetica epica, non a quella lirica, ma, appunto, la precisazione contenuta nell’aggettivo, crea invece una sintesi che sposta il senso originario del sostantivo. Certo è che “romanzo” è definizione ormai solo “provvisoria” e decisamente da superare, dato che i versi sopravanzano ormai nettamente la scrittura in prosa, peraltro difficilmente definibile come tale. “Separami dall’ansia, sarà per te un nuovo gioco./Il dolore insanguina più del sole./Il tempo non invecchia” (op.cit, , p.74)ed è solo un esempio, ma tutto il libro è costellato da versi, tutti di notevolissima qualità, che rimandano, se vogliamo andare alla ricerca degli antecedenti, al simbolismo francese che va da Baudelaire a Mallarmé passando per Verlaine e Rimbaud, ma in qualche modo anche, volendo, al cut-up burroughsiano, ben più che, sempre per riferirsi alla storia letteraria europea tra 1800 e Novecento, alle correnti letterarie italiane come l’ermetismo;
B). L’intera opera, con i “fantasmi” delle persecuzioni infra-familiari subite da Mary ormai ridotti a “brandelli”, a “Fetzen” (stracci), è ormai incentrata in una lunga ma sempre efficacemente interrotta “altercatio” tra Mary e Raf, l’amato di sempre, che lungi dall’essere un “double” di Mary, già in parte nel secondo volume della trilogia si svela come mentitore, ma qui si appalesa pienamente come tale, pur rimanendo fermo un appiglio al rapporto, ormai presente, appunto, quale altercatio continua, anche se efficacemente interrotta sempre. Tra Mary e Raf, simbolicamente, altri elementi ostativi: un figlio la cui collocazione rimane “in fieri” (punto mobile, diremmo), la neve, la guerra(dove è da precisare che non vi è alcun riferimento alle recenti azioni belliche – leggi guerra aggressiva – della Federazione russa versus la Repubblica ucraina, in quanto il volume è stato pubblicato nel gennaio del 2022, quando di questi eventi bellici non si parlava ancora in alcun modo);
C). Sicuramente Maria Teresa Liuzzo, poetessa e scrittrice, sta scrivendo un altro volume nel quale l’asse paradigmatico s’innesta in maniera efficacissima in quello sintagmatico, ma siamo nell’ambito del “work in progress”, appunto, e quindi ipotesi anticipatorie sono/sarebbero decisamente inopportune, in quanto le eventuali nuove creazioni appartengono all/alla autore/autrice, a chi è autore di poièsis (creazione), appunto;
D). Se in questo testo, ancora più che negli altri due, è assolutamente quintessenziale il Mistero redentivo, il “bando cristiano” (Ernesto Bonaiuti, 1881-1946, grande teologo-esegeta, ingiustamente scomunicato come “modernista” in quanto, da uomo di profonda fede, non aveva smesso di sottoporre le opzioni di fede alla ragione e alla ricerca storica), non manca un chiaro riferimento al “karma”, altrimenti detto karman, concetto-chiave del pensiero indiano, che significa “conseguenza dell’azione”, anche “rinascita delle anime” e che può servire a gettar luce sul concetto nietzschiano di “eterno ritorno”. Nessun cedimento all’eclettismo(più ancora che “sincretismo”, che è altra cosa, ben più nobile) dominante nel nostro tempo “postmoderno” ma un serio tentativo di approfondimento, in un’opera che sposa poesia e ricerca continua della verità.