La letteratura albanese nel 2024. I libri più interessanti che ho letto
ANNA LATTANZI
7 Gennaio 2025
Nel 2024 Albania Letteraria ha censito 45 libri pubblicati da autori albanesi tradotti, da italofoni e da scrittori italiani che narrano di Albania.
Si tratta di romanzi, raccolte di poesie e qualche volume che può essere considerato un classico. Tra queste pubblicazioni, ci sono quelle che per le argomentazioni trattate e per la voce autoriale, oltre che risultare piacevoli, sono caratterizzate da una notevole sfumatura divulgativa.
Nella sezione dedicata, trovate tutti i titoli; quelli elencati in questo articolo, in ordine cronologico di pubblicazione, appartengono ai volumi che ho apprezzato di più e dei quali consiglio la lettura.
Raccontami i miei sogni è la raccolta di poesie di Angela Valenti Durazzo, Egnatia Editore. Il volume è impreziosito dalle colorate opere di Claude Gauthier, pittore naïf monegasco, capace di mostrare il Principato con uno sguardo realistico e al contempo incantato.
La raccolta è un ricco contenitore di versi che inneggiano alle emozioni, al prezioso sodalizio tra razionalità e istinto e al legame che, in modo naturale, si instaura tra i tempi che ogni individuo attraversa. Si racconta di vivide sensazioni vissute in diversi luoghi, tra cui l’amata Albania, la cui bellezza trova spazio a Tirana e a Buçimas.
Sono diverse le tematiche che emergono da un’attenta lettura delle poesie, tra le quali l’importanza dell’integrazione in una collettività che merita attenzione, nonostante le fitte e complesse maglie che la compongono. La poetessa pone la lente d’ingrandimento sul bisogno di amalgamarsi ai drappelli umani che muovono la società e allo stesso tempo sottolinea quanto sia indispensabile restare nel proprio unicum, non abbandonando mai i personali tratti identitari. Si può stabilire un rapporto armonioso con gli altri solo mantenendo l’equilibrio con se stessi.
L’ultima città di Petro Marko, Besa Muci Editore è stato uno dei volumi protagonisti della prima edizione di FjalaFest, il Festival della Letteratura Albanese. La traduzione è di Valentina Notaro e di Jolanda Guazzone Kodra.
In questo romanzo si narra della fine dell’esercito italiano invasore in Albania. Dopo la capitolazione del fascismo, a Durazzo si riuniscono i soldati rimasti dalla guerra, aspettando le navi dall’Italia per tornare a casa. Proprio durante i giorni di attesa in questa città improvvisata sul mare, lo scrittore Marko rivelerà storie, drammi, personaggi e psicologie tratte dalla gente dell’ultima città.
Inoltre, l’autore racconta la storia d’amore tra il giovane ufficiale albanese Leka e la bella prostituta italiana Ana Maria Monte, anch’essa vittima della guerra e del fascismo. Nel corso di sette giorni, il tempo che gli italiani trascorrono nel porto di Durazzo prima di tornare in Italia, lo scrittore svela e racconta anche le storie e i destini di alcuni membri dell’esercito fascista che quattro o cinque anni prima aveva occupato l’Albania.
Strade che scorrono dalle mie mani è l’antologia poetica di Visar Zhiti, Puntoacapo Editrice. Le poesie sono tradotte dal professor Elio Miracco.
Sono struggenti i versi di Zhiti, che cantano un dolore mai assopito, che offrono il grido sommesso e sofferente di chi ha patito quello che gli uomini sono capaci di infliggere agli altri uomini.
Poesie di accusa, La poesia Prostituta e Madonna, Meglio tra gli animali, Epitaffi sul vento, Epitaffi sulle onde, Ninnananna Paterna, Sono diventati migliori i nostri carnefici, Ti ricreo. Ogni sezione della raccolta ha un titolo che richiama il fulcro dei componimenti, privi di vendetta e di odio, carichi di angoscia e di amore per la Patria e che mai trascurano la luce donata dalla positività e dalla fede.
Strade che scorrono dalle mie mani è una raccolta di 340 pagine, che sottolinea il grande percorso letterario, emozionale e umano del poeta, incarcerato ai tempi della dittatura albanese per aver scritto poesie. Sono versi che corrono sul filo conduttore delle vicende personali, dal profilo universale, poiché i fatti che hanno caratterizzato la vita di Visar, riconducono alle violenze perpetrate da tutti i totalitarismi nei confronti dell’umanità.
Fuga da Belgrado è il romanzo di Ardian Haxhaj, Besa Muci Editore, edito nella traduzione di Iris Hajdari.
Haxhaj è uno scrittore kosovaro, oltre che documentarista e sceneggiatore. La sua scrittura viene definita lineare, profondamente descrittiva e alla storia che anima questo Fuga da Belgrado ha riservato un finale inatteso, stupefacente, con l’obiettivo di offrire spunti di riflessione su realtà ancora sconosciute e sui criteri che hanno regolamentato la società montana albanese, forse, in larga parte enfatizzati.
Il racconto non termina con la riunificazione della coppia, bensì con un viaggio di ritorno, che si realizza dopo vent’anni. Un lunghissimo periodo, durante il quale i due non ha saputo quasi nulla della gente che li ha ospitati e dopo tanto tempo decidono di rivederli, per riconoscenza, confrontandosi però, con una realtà completamente diversa da quella sperata.
Lo scrittore trascina il lettore indietro nel tempo, in un’epoca nota a tutti noi per le brutture che l’hanno caratterizzata, facendo emergere, al contempo, lo spirito albanese, fatto di accoglienza e rispetto. La fede giurata, la parola data (fjala e dhanum), la protezione promessa a un ospite o a un amico, la sicurezza e il giuramento, costituiscono i capisaldi del testo.
La besa da rispettare anche con il nemico che ha ucciso. Non si tratta solo della parola data, bensì della necessità di onorare tale promessa a ogni costo e questo non riguarda solo i rapporti tra i familiari, ma anche quelli tra i membri della comunità. Essa è la dimostrazione morale dell’uomo che tiene fede agli impegni, attribuendole il valore di un comportamento inviolabile.
In Fuga da Belgrado l’onorabilità della parola data permette a due persone di evitare la deportazione e la morte certa, raccontando due mondi diversi che si abbracciano, non conoscendosi e in qualche modo, lo faranno violandosi. Uomini e donne differenti, che diventano fratelli in un’epoca sanguinaria, quando senza dispensare odio, feriscono e uccidono, privi di alcuna consapevolezza.
L’uomo che non doveva mai morire. L’Albania e il regime di Enver Hoxha. Un titolo forte per il reportage del giornalista e scrittore Giovanni Verga, Prospero Editore nella collana di viaggi e reportage Geopoetica.
Il volume traccia la storia dell’Albania, dall’avvento del totalitarismo, con particolare riferimento agli ultimi vent’anni di vita di Hoxha, fino alla sua morte. Il percorso viene sviscerato tramite le informazioni storiche e le testimonianze raccolte. L’autore aggiunge alcune note sul flusso migratorio che ha caratterizzato i primi anni Novanta e la successiva evoluzione politica dell’Albania fino al 2023.
A novembre 2023, Italia e Albania hanno firmato un protocollo d’intesa che prevede l’apertura di centri di accoglienza e identificazione in Albania per gli immigrati soccorsi in mare dalle navi della Marina e della Guardia Costiera in acque italiane.
Così si chiude l’excursus condotto da Verga nella vita politica e sociale del Paese delle Aquile, capeggiato dal regime, nelle percezioni di chi era costretto a vivere sotto l’irrazionale dominio dell’uomo. Si racconta della mancanza di libertà e della “paura che sconvolge la mente, induce a comportamenti irrazionali, imprevedibili, fuori da ogni logica. Può portare a rinnegare se stessi, la propria storia personale, il proprio vissuto e le proprie convinzioni più profonde“. Si narra dei processi assurdi e senza alcuna forma di legalità ai quali venivano sottoposti i carcerati, dei capi d’accusa costruiti ad hoc e ancora della guerra alle religioni e di quanto fosse paranoico il potere del tiranno. Ancora si fa un corposo riferimento alla lotta contro gli artisti e gli intellettuali e la loro occidentalizzazione, alla grande purga dei militari e al Festival di Primavera.
Dal profondo dell’Inferno ho visto Gesù crocifisso di Dom Simon Jubani, Edizioni Cantagalli, tradotto da Edlira Çiftja è il libro necessario del sacerdote che è rimasto nelle prigioni comuniste per ventisei anni.
La presentazione del testo è stata affidata a Mons. Angelo Massafra, la Prefazione è di Dominique Combette, l’Invito alla lettura di padre Daniel Gjeçaj, l’introduzione e la postfazione di Ana Luka. Il volume è impreziosito da foto e da ricche appendici, che offrono importanti informazioni, come l’elenco dei 38 martiri del comunismo in Albania, beatificati a Scutari il 5 novembre 2016 e diverse mappe, tra le quali, quelle delle prigioni e dei campi dell’Albania comunista e delle parrocchie servite da dom Simon Jubani.
Lì mi trovarono e in pieno giorno mi strinsero le mani con due anelli di ferro: dovevano essere le manette! Pensate che grande umiliazione, non tanto perché ero innocente, ma perché a stringermi quelle manette arrugginite erano i peggiori distruttori della nazione e del popolo albanese, proprio quelli che oggi piangono lacrime di coccodrillo per le centomila persone uccise con le loro stesse mani.
È una testimonianza preziosa e drammatica quella che dom Jubani lascia ai posteri, ripercorrendo le tappe più importanti della sua vita e i ventisei anni trascorsi nelle carceri comuniste, dove subisce torture indicibili. Una volta scarcerato, il 4 novembre 1990, celebra la prima Messa pubblica in Albania, a emblema del crollo del regime.
Tutto inizia il 30 marzo 1963, quando il sacerdote viene tratto in arresto, perché è un servitore di Dio e desidera portare avanti il credo religioso, impartendo i sacramenti. L’Albania è nel periodo più cruento della dittatura, che vuole rendere il Paese ateo, usando la coercizione e la violenza. Il tiranno mette in atto una vera e propria rappresaglia nei confronti dei religiosi, degli intellettuali e di chiunque costituisca, (a suo dire), una minaccia.
Le favole del comunismo è il romanzo d’esordio di Anita Likmeta, Marsilio Editori.
Ari nasce e vive parte della sua infanzia nel periodo della dittatura, in un villaggio nei pressi di Durazzo. Dopo la caduta del muro di Berlino, crolla anche il regime, ma la miseria continua ad attanagliare il Paese. La bimba trascorre la sue giornate con i nonni, poiché la mamma si trova in Italia, nel tentativo di costruire un futuro migliore. Ari e la famiglia vivono in povertà, come tutti, con quello che passa lo Stato, barcamenandosi come possono. I nonni non vogliono abbandonare l’Albania: si sentono vecchi e stanchi.
Si dimenticano di iscrivere la nipotina a scuola, motivo per cui subisce le prese in giro degli altri, che fanno illazioni dolorose anche sulla sua mamma. La piccola non riesce proprio a comprendere il motivo di tale accanimento.
Anita Likmeta disegna il profilo di due Ari opposte tra loro, abitanti di due mondi agli antipodi: la bimba di ieri, povera, in una società disperata e la donna di oggi, realizzata, che vive in una casa nel centro di Milano e che possiede tutto ciò che desidera.
A fare da sfondo alle vicende narrate è la Storia dell’Albania, un Paese che ha dovuto ricostruirsi, raggiungendo ottimi risultati, ma che ancora, in qualche modo, vive in quella ricostruzione. L’autrice, con sarcasmo e una punta di drammaticità, racconta dell’infanzia di una bimba che ha dovuto crescere in fretta, a immagine speculare dell’evoluzione di una nazione che si è ritrovata libera dopo 45 anni di dittatura, senza saper gestire quella libertà.
Tirana e dintorni è la guida turistica di Simonetta Di Zanutto, Odòs Libreria Editrice. La casa editrice friulana nasce nel 2009, con l’obiettivo di destare la curiosità del turista – viaggiatore nei confronti di località poco conosciute e raramente attenzionate dalla classica editoria.
Una guida, quindi, dedicata alla capitale albanese, una città colorata, caotica e moderna, come scrive la Di Zanutto antica conservatrice delle tradizioni albanesi, meta apprezzata del turismo orientato alla scoperta della cultura del popolo, della buona e tradizionale gastronomia e di un’atmosfera che profuma di tolleranza e di internazionalità.
La guida, con mappa allegata 42X30 cm, è realizzata in un comodo formato tascabile: gradevole al tatto, riporta in copertina la tomba di Kapllan Pasha, antico sovrano della città, incorniciata dalla nicchia di cemento alla base del grattacielo che ospita l’hotel Plaza. Si suddivide in diverse sezioni, ognuna delle quali è utile per acquisire importanti nozioni non solo sulla città, ma su tutta l’Albania.
Poesie di Sadik Bejko, Kimerik è l’antologia curata, scritta e realizzata da Mimoza Pulaj.
Le poesie riflettono le sofferenze fisiche e morali di un intero popolo. Quando lavorava in miniera, Bejko prima scriveva le poesie su pezzi di carta e poi li strappava. Non aveva una sua abitazione. Era sotto sorveglianza, quindi scriveva e poi buttava via. Ha nascosto alcune di queste poesie in casa di sua madre; sono state pubblicate nel 1994, insieme ad altre che ricordava a memoria e che è riuscito a scrivere nuovamente.
Non racconta né la società, né la politica: la sua è una poesia esistenziale. Durante l’epoca del comunismo tutto il popolo albanese viveva privo di speranze, senza riuscire a intravedere alcuna luce, seppur flebile, per il futuro. A dargli forza è stata la letteratura, ciò che scriveva, che strappava e portava con sé, come fossero una cosa sola e fosse qualcosa di esclusivamente suo.
Ad accompagnarlo nei momenti di vita più significativi il pessimismo del pensiero e l’ottimismo della volontà. Una volontà che non si arrende di fronte a circostanze di arbitrarietà e di assurda violenza. Scrive con il desiderio di imprigionare quella sofferenza e porre fine a quella miseria con la speranza che rimanga, che non si dimentichi, ma che quell’orrore vada sempre più lontano, sempre più indietro.
L’estate senza ritorno di Besnik Mustafaj, tradotto da Julian Zhara, Bibliotheka Edizioni è il romanzo, che l’autore scrive nel 1985, e che vede la luce per la prima volta in Albania nel 1989, dopo aver subito una vistosa revisione da parte di quella che è l’unica casa editrice esistente durante il regime di Enver Hoxha.
I tagli riguardano tutti i passaggi in cui si racconta il corpo della donna, che insieme alla sessualità rappresenta un tabù. Nel periodo successivo alla caduta della dittatura, esce la versione integrale del testo, che conosce una trasposizione cinematografica nel 2019 con il film Inane (Vera pa kthim), diretto da Besnik Bisha.
I protagonisti sono Sana e Gori, una coppia di fidanzati. La giovane, divenuta donna, ha atteso per quarant’anni il ritorno del suo amato che un giorno, senza preavviso alcuno, si presenta alla porta di casa in un corpo che non sembra il suo, caratterizzato da uno strano pallore. La storia si sviluppa tra inquietudini, attese, scambi di battute, in un’atmosfera rarefatta e ovattata.
La copertina, che sembra ritrarre l’assenza e il volto del vuoto umano come specifica lo stesso scrittore, è del pittore Paolo Niutta. Una stanza vuota, una sedia in legno, di quelle d’altri tempi, un paio di scarpe da uomo, una camicia dal taglio maschile e una porta aperta su uno scenario naturale e meraviglioso. Il mare in tutta la sua bellezza e il senso di solitudine arrivano tra queste mura con la stessa delicatezza di un uomo che entra in punta di piedi nel cuore di una donna. Sono immagini poste a emblema del senso di attesa che accompagna Sana, definita da Mustafaj “la Penelope del Novecento”.
Figlia del temporale di Valentina D’Urbano, ha visto la luce a settembre, con la casa editrice Mondadori.
Siamo nel 1974 e Hira è un’orfana tredicenne. Gli unici parenti che possono prendersene cura vivono sui monti, nel nord dell’Albania, motivo per cui la ragazza è costretta a lasciare Tirana e a trasferirsi in quella piccola comunità di pastori, che vive secondo le regole del Kanun, il più antico codice consuetudinario albanese. Hira ha uno spirito di adattamento che la contraddistingue e si adatta velocemente al nuovo mondo che la accoglie. Astrit, il cugino che ha smesso di parlare quand’era bambino, le insegna a camminare sui monti e in silenzio, per ore. Crescendo, Hira e Astrit trovano una lingua tutta loro per capirsi, fatta di sguardi, carezze e morsi che a volte sembrano baci. Quando a Hira viene imposto un matrimonio combinato, sceglie l’unica via di fuga ammessa dalla legge della montagna: rinunciare alla propria femminilità e diventare una burrnesh, una vergine giurata. E così a vent’anni prende il nome di Mael: si veste come un uomo, lavora come un uomo, beve e fuma come un uomo.
Il libro nasce prima di tutto da un fatto personale. Nel 2011 ho partecipato, come invitata, alle nozze di una mia amica cresciuta in Italia ma di origine balcanica. I suoi genitori le avevano combinato un matrimonio con un ragazzo che lei non conosceva, che non aveva mai visto. Quell’esperienza che ho vissuto da spettatrice – prima il fidanzamento, le piccole bugie dette a noi amiche per nascondere il fatto che l’unione fosse stata decisa da altri, infine la cerimonia e anche l’amore nato tra i due sposi, successivamente al matrimonio – in qualche modo è rimasta dentro di me per anni, per uscire fuori nel 2021, quando, informandomi sulla storia recente dell’Albania per pura curiosità personale, non sono incappata nella tradizione delle vergini giurate. In quel momento ho pensato che mi sarebbe piaciuto scrivere questo tipo di storia, unendola a ciò che stavo studiando per conto mio e cioè il regime di Hoxha. Per me che sono nata nel 1985 e cresciuta in Italia, l’Albania ha sempre rappresentato un buco nella storia dell’Europa. Nessuno, durante gli anni di scuola mi aveva mai parlato di quello che era successo – e che per certi versi stava ancora succedendo – dall’altra parte del mar Adriatico, a pochissimi chilometri dal mio Paese (dall’intervista all’autrice).
Quando un dittatore chiama di Ismail Kadare, La Nave di Teseo Editore, tradotto dalla lingua francese da Cettina Calò.
Il libro ripropone i tre minuti di una telefonata tra Stalin e Pasternak e quelle che sono state le conseguenze che questo breve momento ha avuto sull’evoluzione della storia moderna. Il racconto si basa su un eccellente equilibrio tra fatti appartenenti al mondo onirico e pura e documentata realtà.
Si racconta che nel giugno del 1934 Joseph Stalin telefonò al poeta Boris Pasternak per discutere dell’arresto del poeta sovietico Osip Mandelstam. “Il compagno Stalin desidera parlare con te“.
Basandosi sulle testimonianze di personaggi legati a Pasternak e Mandelstam, scrittori come Isaiah Berlin e Anna Achmatova e alcuni giornalisti, Kadare consegna ai lettori un romanzo coinvolgente, che sottolinea i rapporti esistenti tra arte e potere, tra gli intellettuali e gli esponenti del regime.
Il racconto sembra riferirsi all’esperienza diretta dello stesso autore, che sotto la dittatura di Hoxha, ricevette una strana telefonata.
Ascesa e caduta del compagno Zylo, il capolavoro dalla connotazione satirica di Dritëro Agolli, Bibliotheka Edizioni, è stato pubblicato in versione integrale nella traduzione di Julian Zhara.
Attraverso gli occhi del protagonista e le parole che mette nero su bianco, l’autore presenta tutta l’incompetenza e la presunzione degli alti rappresentanti della dittatura. Un file rouge che fa sorridere con amarezza, poiché riconduce al lungo stralcio della Storia d’Albania, (più di quarant’anni di chiusura forzata), che ha segnato l’evoluzione collettiva e culturale del Paese.
È Zylo, il capo di Demka, a incarnare l’incapacità e la superbia dei dirigenti comunisti. Un personaggio fortemente limitato nelle sue capacità, che si nutre dell’idea di poter intraprendere l’ascesa al potere nella convinzione di avere tutte le carte in regola per riuscirci. L’ego, la smania di scalare il vertice, la necessità di sentirsi all’apice di una società evidentemente malata, si incastonano nella descrizione di una dimensione sociale, politica ed economica tragica, governata da un sistema asservente e dominante. L’ironia, magistralmente usata da Agolli, non sminuisce la drammaticità degli eventi narrati, tanto da rendere il romanzo una pietra miliare della letteratura del Novecento.