UN MAGNIFICO ESEMPIO DELLA POTENZA E DELLA FORZA DELLO SPIRITO
MARIA TERESA LIUZZO. UN MAGNIFICO ESEMPIO DELLA POTENZA E DELLA FORZA DELLO SPIRITO
di ROBERTO NESPOLA
(Poeta- critico letterario e traduttore)
Proseguendo in quell’“experimentum” d’efflorescenza lirica nella barbarie degli eventi narrati, come una forza spirituale che prenda maggior vigore dalla coercizione bruta delle violenze subite, quell’“experimentum” che è stato il pannello precedente di questo ciclo di romanzi, io direi che la forma romanzo, qui, si discioglie quasi completamente in una poesia in prosa, in quella prosa d’arte espressionistica che è stata una delle grandi svolte estetiche del novecento.
Solo che ne “L’ombra affamata della madre”, anche se le cicatrici della protagonista sono innumerevoli e si diramano in tutte le direzioni, le lacerazioni tipiche dell’espressionismo vengono continuamente risanate da una prospettiva metafisica, da una dimensione altra sempre presente e pervasiva – dimensione di luce.
Dunque, nel magma d’una lingua incandescente dove il dilagare prorompente della visione assume una ben profonda densità simbolica, in un abissale percorso iniziatico di morte e rinascita in cui tutte le ombre del Trauma sembrano riassorbirsi, lacerti autobiografici si riforgiano nella materia spirituale della memoria, una memoria che proprio nell’incandescenza lirica risana le sue ferite.
Un simbolismo ermeticamente aperto che lascia campo libero all’astrazione; un’astrazione che non è alambicco astruso bensì agire astrale (astr’azione), nel senso del “per aspera ad astra” ossia, di rarefazione verso un Assoluto che tutto ingloba nell’eterno vivifico.
Per questo testo parlare semplicemente di romanzo è poco: il termine “romanzo”, qui, non riesce a designare altro che una gabbia formale, una macrostruttura utile soltanto ad arginare l’incandescenza spirituale d’un contenuto continuamente animato dalla tensione di eccedere se stesso. Ovviamente non intendo ciò, banalmente, nel senso d’una scrittura sperimentale o neo-avanguardistica, una scrittura che miri solo a graffiare la superfice del testo, a sparigliare ludicamente i giochi. Se d’experimentum si può parlare in questo libro, si tratta -senza dubbio- dell’experiri d’una fortissima esperienza esistenziale, un concretissimo experiri che si mette continuamente alla prova e prende corpo con forza alla lettura – nella mente, nel cuore, nelle viscere. Impossibile non entrare in empatia con una tale carica emotiva ed inventiva, lirica e vitale.
Qui davvero ogni parola è un segno: una ferita e un rimando all’altrove mistico dell’anima. Qui il segno grafico è una fessura simbolica che unisce l’al-di-qua all’al-di-là, una crepa emotiva nel testo da cui entra la luce del trascendente. E queste crepe sono create proprio dalla tensione dello strappo tra l’efferatezza dell’ambiente familiare e la brama di luce incarnata nella sehnsucht artistica che, per grandissima grazia, da questa efferatezza viene alimentata.
Tra accensioni liriche, squarci di fantasie alchemiche e visioni mistiche, si dipana, allora, la fitta materia della memoria. Una fitta prosa pervasa di tramature liriche -come fiumi carsici che di tanto in tanto affiorano- ai confini col poema(tico), una fitta prosa intarsiata di poesia. Ma non una poesia esornativa, un’estetizzazione anodina e vanamente lenitiva del dolore, bensì una poesia che diventa carne e sangue della scrittura. Sangue mistico, carne mistica.
È come se ogni peso infero che volesse trascinare nei gorghi dell’abisso la vita della protagonista si risolvesse, per converso, in un propulsore spirituale; come se questo peso infernale non riuscisse a far altro che ad aumentare la tensione della molla dello slancio trascendentale, per poi lasciarla inevitabilmente andare. È questa l’incredibile forza di Mary, il suo immenso insegnamento.
Ogni dissidio, anche il più profondo e -ahimé- atroce, viene riassorbito, così, dall’infinita dialettica buio/ luce.
Questo scritto è, insomma, un magnifico esempio della potenza e della forza dello spirito cui la scrittura può fare da prisma.