Maria Teresa Liuzzo: IO NON TRATTO CON IL DEMONIO
L’ESERCIZIO DELLA SATIRA ATTRAVERSO LA METRICA DELLA FILASTROCCA
IO NON TRATTO CON IL DEMONIO
di MARIA TERESA LIUZZO
QUANDO L’INVIDIA SUPERA LA RICONOSCENZA, SENZA POSSIBILITA’ DIRITORNO
”E’ dall’ironia che comincia la libertà”, (Victor Hugo).
”LA MEGERA IN MASCHERA”
L’illusoria corona di superiorità fatta di agli e di ortiche verso i suoi sudditi affetti da Sindrome di Stoccolma
La megera al mercatino rape e cavoli acquistò con il carretto
in poppa al vento a Bruxelles si arenò,
”cavolini” di letame dalla bocca vomitò
tra bestemmie e imprecazioni la sua voce evaporò.
Alla vittima di turno molestando le tuonò:
”i soldini devi darmi hai la casa e la pensione e non pochi
almeno un etto, ubbidisci o ti bacchetto”.
”Stai lontano da chiunque” minacciava la megera
senza sconti di silenzio da mattina sino a sera!
(Le prime luci dell’alba) ”a quest’ora?” – ”e che ci fa? Il mio drin drinha priorità!”
”Nella borsa carta canta porta pure l’acqua santa”.
Ti ricordo io son megera, uccellaccio della sera!”
Come volpe nel deserto, il suo brindisi sognava,
ma una stella in cielo apparve e il ”miracolo ” scomparve,
tra le nebbie indiavolate sulla giostra di risate.
Le sue labbra come cardi erano livide e schiumate.
”Un’altra dotta al posto mio non permetto neanche a Dio di infrangere i miei sogni
se disgrazie tu non temi esaudisci i miei bisogni…
Non ammetto sostitute” echeggiava ormai piegata
furia spenta e malandata …
”I tuoi soldi sono i miei, tienili pronti e in bella vista…
ma perché non mi rispondi? Dove sei?”
”Dall’esorcista!”…
Quale arte che cultura, non saremmo mai un binomio,
io non tratto con il demonio…”.
Ma la dotta era la fata che la megera ormai scambiò
e insistente e assai noiosa falsa grazia domandò…
”Oh mio Dio che disastro quale osso spolperò
piume e forze vò perdendo me meschina che farò?
Se mutassi me in Pinocchio – sono brava a dir bugie – con il gatto bene ci vivo e Geppetto spelacchiato
altre grane pianterei e potere acquisterei…”.
Pronta in cattedra a sedere sfilò giù nella cabina
tinteggiando il grugno storto e le ”zampe di gallina”
”Or son bella” delirando ai seguaci del pollaio
che sbatterono le ali preferendola al vivaio…
Confuse il riccio della castagna con l’albero della cuccagna
con ”l’acqua santa la terra bagnò” ma nessun obolo germogliò…
Così all’ora della siesta indossa i panni della molestia…
”Oh che voce da soprano” – lui sussurra ”oh mia diletta” -”stai flirtando con Sua Altezza?
Devo entrare nella casta, la tua amicizia non mi basta”.
Una mosca giudicante la laringe sua esplorò
sulle corde altalenante la diagnosi dettò.
Poi schifata dalla boria sul letame ritornò.