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MARIA TERESA LIUZZO … “MA INQUIETA ONDA AGITA LE VENE”

 

 

di VITTORIANO ESPOSITO, SAGGISTA E CRITICO LETTERARIO

 

Crediamo che nessun altro poeta, oggi, possa vantare il rapido e sicuro successo che sta toccando, a dieci anni appena dal suo esordio ufficiale, Maria Teresa Liuzzo: da Radici (1992) ad Autopsia d’immagine (2002) è venuta tracciando un percorso ascensionale, che l’ha imposta all’attenzione della critica come una delle voci più singolari del fine Novecento. E tutte ben valide le tappe intermedie, raggiunte e felicemente superate con Psiche (1993), Apeiron (1995), Umanità (1996), Eutanasia d’Utopia (1997), L’acqua è battito lento (2001). Tappe salutate con giudizi lusinghieri da lettori e interpreti di prim’ordine, quali Antonio Piromalli (scomparso recentemente), Piero Bigongiari, Maria Luisa Spaziani, Giuseppe Amoroso, Silvano Demarchi, Vincenzo Rossi e molti altri, di cui ci occuperemo brevemente in un prossimo intervento. Poesie dell’anima si leggeva nel sottotitolo di Radici e, francamente ci sembra che quel marchio d’origine abbia durevolmente contrassegnato l’esperienza decennale che ne è seguita. Poteva apparire un’etichetta inutile ed invece, a nostro parere, era utile e necessaria per avere un segno distintivo nella profluvie di versi dettati con l’opposto suggello del più arido cerebralismo. Non poteva che compiacersene chi, come noi, da gran tempo andava sostenendo che bisognava ormai sostituire ” la poetica della parola ”, in auge per tutto un secolo, con la ”poetica dell’anima”, se si voleva restituire alla poesia il ruolo primario di fedele testimonianza della presenza umana nel cammino impervio della storia. Quanto sia stata giusta e sinceramente sofferta la decisione dell’esordiante poetessa è comprovato dalle opere successive, citate poco sopra, recanti tutti il segno di una ” necessità interiore” che non cede nulla al gioco puramente verbale. A conferma del felice cammino intrapreso e portato avanti con coraggio fino ad oggi, giunge ora un poemetto straordinario dal titolo …Ma inquieta onda agita le vene, uscita con un’acuta prefazione di Fulvio Castellani e un lapidario giudizio di Giorgio Bàrberi Squarotti, che vogliamo riferire subito per la sua breve incisività: ”belle e altissime poesie che consacrano l’esemplarità del suo discorso così accesamente visionario fra cielo e passione del cuore”. La struttura poematica conferisce al discorso poetico di Maria Teresa Liuzzo una visione unitaria, che l’affranca dai rischi del frammentismo primo – novecentesco. In realtà, anche qui si procede per intuizioni brevi e immediate, che si susseguono in un vortice di immagini fantasiose, senza una costruzione rigidamente intellettualistica ma il tutto si concentra su uno scenario di situazioni reali, desunte dai difficili momenti della storia che stiamo attraversando. Sarà illuminante qualche citazione, scelta un pò a caso: ” Scende la pioggia / a consolare il giglio, / nell’Eden tradito / e già vede / il tempio profanato / e le spine / sulla fonte del Cristo, / Lager in Palestina, / Croci spinate e corone / sulle piaghe aperte”; ” Abele estinto / Caino immortale: luce / primaverile / di sanguigni flussi. // carezzevole ammenda / lambisce / lumi imposti a notti / di incenerita quiete. // Trionfo di fronde / e di frutti ( … ) / radici impure / risse di castori / nel duplice specchio del reale”, / moneta e ludibrio / nel gioco dei tribuni incessante martirio del Nazareno: / giustizia e carità gestiscono le fiere. / Giungono venti di Grecia e Siria / e rinnova il Sahél piaghe d’Egitto. / La voce è nel Tempio, vento / impetuoso su sacerdoti e mercanti: / riflettono spade ed elmi / corone di spine”. Per tutto il poemetto, l’autrice non stacca mai l’occhio dalla realtà dolorosa che ci circonda e, a tale riguardo, il pensiero che vi è sotteso, sia pure in briciole di verità, si può così riassumere: la storia va avanti ” fra lusinghe e inganni”; Cristo non si stanca di offrire alle genti la rosa dell’amore, ma ogni suo petalo ” infeltrisce l’umiltà obliata”; alla ”sete di giustizia” si risponde con ”dei campi minati” e la stessa Terra Promessa rinnova l’immenso mistero del Golgota. Se ci si azzarda a guardare nel ”groviglio di voci e visioni” che colpiscono i nostri occhi, scopriamo ” meretrici e velieri” che nella tempesta, non ricevono spinte da ” venti di verità”; dappertutto troviamo ”semi di odio”, che cancellano ogni memoria del bene, grattacieli fumosi che ”usurpano foreste” creando spaventose necropoli, mentre ”Eroi di cartapesta avanzano / fra crisantemi e giunchi” sognando d’aver ”sangue nelle vene”. Da sempre, purtroppo l’uomo cerca di interpretare il senso della storia e dell’universo, ma continua ad ignorare ”il senso dell’anima” Il sogno dell’Eden come pura ”infanzia del mondo” non è che ”un ginepraio d’illusioni”: il pensiero umano è come una cruna attraversata da ”formiche”, anziché da bagliori di verità; e l’anima stessa, posta come in clausura, in effetti si sente smarrita e ”si finge funambola / la parola”. In queste condizioni, forse possiamo abbandonarci solo a ”sogni di cavalieri / erranti nello spazio”, metterci al ”riparo della vita” per sfuggire all’insidia dei corvi ”nell’improvviso fuoco / della perfidia”; ma se ormai ”Ulisse tace”, non è spenta del tutto la speranza che ”un altro marinaio si vesta di una nuova verità e veleggi, nonostante tutto, verso ”Itaca verde”. Sappiamo bene di muoverci in ”un arco di mare” deserto e illusorio, addirittura Cheope avanza ”da Edipo al muro del pianto” e ”dall’oblio della storia” scendono ombre ad oscurare ”lo specchio” del comune cammino. Eppure non tutto deve ritenersi perduto: ci si può, ci si deve ancora attendere spazi per l’innocenza e che nuove primavere fioriscano inducendo ”il vento dei secoli” soffiare ”sul brivido dell’erba” dissodando ”la zolla, nel dolore”: solo così l’anima, che tutt’ora ”oscilla / fra astratti campi” potrà rinascere ” fra le spume / nella casta nudità dell’alba”. Sto seguendo da vicino l’intricata trama dei simboli di cui s’intessi tutto il poemetto, a lettura ultimata si può comprendere la noterella che Maria Teresa Liuzzo vi ha postato a premessa e che dice testualmente: ”Dal buio della coscienza emergono i sogni, ritornano alla creta, s’innalzano iridati verso placente di stelle”. Verità non scontata, senza dubbio, anzi discutibile alla luce della ragione, ma ben persuasiva, a nostro giudizio, sul piano della poesia, specialmente di una poesia, come quella della Liuzzo, che vuol farsi specchio dell’anima.

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