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URANUS: BRIVIDI & PAROLE

URANUS (Francesco di Rocco)

attore – sceneggiatore – regista- traduttore – poeta e critico letterario

“Mai le ombre mi furono nemiche”. Se dovessimo avere la presunzione di  “definire” (sebbene questo termine, possa apparire  molte volte come una sorta di  “galera intellettuale”, e dunque un limitare, un racchiudere o ancor peggio  circoscrivere, e dunque far torto a chi ne sia autore ), versi o  come i suddetti, possiamo, al contrario e a ragione, e per onestà intellettuale e ancor meglio, scelta letteraria, andare oltre questa terminologia filologica e farne manifesto della poetica di Maria Teresa Liuzzo. Ombre, come, metafora della scrittura, dove secondo certa canonicità narrativa,  i personaggi si muovono secondo un ordine prestabilito da chi scrive: il paradigma è dunque Personaggio-Ombra. Non è così per Maria Teresa; in ogni parola, in ogni verso, e narrazione, come si percepisce nettamente  nella prosa tra le righe, si sente prorompente, come rulli incessanti di timpani, la sinfonia della vita, dove persone di carne, sangue, ossa, lacrime, vivono la loro fisicità quotidiana, dove le ombre, altro non sono che figure evanescenti, che il fisico trasforma di attimo in attimo. Intuito e merito dell’autrice, se vogliamo, rivoluzionario, e aver annullato, almeno in gran parte, la parete che separava prosa e poesia; il suo scrivere è narrazione allo stato puro, edificato di cristallina, seppur dolente, raffinata lirica creativa. Fatta questa doverosa premessa, possiamo dire  davvero della Poetessa. Connotazioni semantiche, già evidenziate nei lavori precedenti, dove l’ascendenza colta del verso e al contempo intensa, “denuda” tutto il dramma di una esistenza; e qui è l’altra novità scritturale di Maria Teresa Liuzzo. L’estrema personalizzazione del linguaggio, che  fa di questa idea di poesia un autentico e geniale esperimento, che dona al dettato poetico un crisma di partecipazione emotiva del lettore; è come un dono in apparenza impenetrabile, ma che la lettura approfondita dipana in tutta una sofferenza fisica, che si sublima in armonia poetica. Una fisicità, intensa, drammatica, che tuttavia, esalta l’io narrante, o in questo caso , l’io “lirico”, che trascina il lettore in un percorso, fatto certamente  di tinte abbaglianti, ma gemelle di quel cromatismo rigenerante dell’intimità, che si offre allo sguardo di noi lettori, che increduli e affabulati, ci lasciamo catturare dall’irresistibile fluido armonico, siamo inesorabilmente preda dei versi gravidi di luce della poetessa. E’ il mondo, se vogliamo, l’ultramondo, di Maria Teresa, che con la sua eleganza stilistica, e la perfezione ritmica, impone metamorfosi agli occhi, ma soprattutto all’animo di noi. E siamo noi stessi Maria Teresa, siamo noi i suoi brividi che scuotono la pelle, quando racconta, nei suoi versi, e reca tutta la forza prorompente dell’amore che si fa arte e delizia il lettore, che  sente tutta l’eleganza malinconica e il silenzio impenetrabile dell’inquietudine del battito cardiaco, che solo una scrittura fisica può generare.

 

 

 

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