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PSICHE: UN’OPERA DI MARIA TERESA LIUZZO

PSICHE: UN’OPERA DI MARIA TERESA LIUZZO

UN APRIRSI AL MONDO CON UN LIBRO DAL TITOLO QUANTO COMPLESSO QUANTO INQUIETANTE

di LUCA ROSSI, Poeta – Saggista – Critico letterario

 

 

Quando mi accinsi per la prima volta a leggere ”Psiche ” di Maria Teresa Liuzzo, la prima cosa che feci non fu tanto quella di gettarmi a capofitto per scoprire i versi e quanti fossero stati coloro i quali- tra cui Peter Russell, Vittorio Vettori, Bàrberi Squarotti, Cappi, Ulivi, – avessero parlato in precedenza della sua opera, e non mi chiesi neppure quanto potesse valere la mia opinione in merito, visto che non appartengo a quel mondo di critici , di qualificato scrittori e analisti della poesia, i cui giudizi forniscono dei chiarimenti in merito alla produzione artistica di un autore e del suo mondo, in cui l’immaginario o il vissuto creano la parola specifica che subito si trasforma in verso per risuonare nel profondo delle coscienze o negli angoli nascosti del proprio ” Io”. Così, lasciando chiuso il libro, ho osservato la copertina, dove sul retro appariva la foto di Maria Teresa: un volto aggraziato, solare, dal quale emana una luce che non sempre riteniamo opportuno considerare, quando pensiamo che ciò che dobbiamo giudicare non è l’esteriorità del tutto, ma il valore concettuale ed espressivo di un pensiero che si fa parola. Eppure, come dimenticare che a scrivere quei versi era proprio quel volto? Diedi nuovamente un’occhiata al titolo: ” PSICHE ”. Che strano: una copertina a doppio specchio. Dietro il libro l’immagine di un viso, i cui occhi non erano altro che il vetro trasparente di ciò che appariva sul davanti di questi, dove stampata, riflessa alla luce del giorno, riassunta in una parola, stava il senso della sua opera, del suo scrivere, racchiuso in un vocabolo etimologicamente arcaico, ma anche misterioso; di un sostantivo che trova nei termini dell’antica Grecia la sua origine, il suo concepimento: ”psyché”. Anima, spirito libero che si fa farfalla per volare alto, come se a precedere la corporeità potesse esserci prima l’inconsistenza del corpo e l’esistenza stessa del pensiero. Non ho letto le poesie in modo contiguo, cronologico, ordinato, ma pur prendendole tutte in considerazione, sono andato sfogliandole un po’ qua e là, come se girassi per le strade di una città che non conoscevo, cercando di scoprirne gli anfratti che io solo volevo visitare e che non mi erano stato indicati nella sua stesura da chi aveva pubblicato il libro, come a guidarmi in una sorta di percorso obbligato. Un corpus poetico denso: più di duecento le poesie riportate, a testimonianza del pensiero di una donna che vive la consistenza del quotidiano, descrivendolo attraverso l’uso del verso libero, con le giuste distanze, senza cadere nella retorica o nel baratro di un’illusione che non mantenesse alcun filo conduttore con il reale. Tutto è luce, ma non di una stagione certa, bensì di un sole che attraversa ciascuna di queste fasi senza seguirne i cicli stessi della natura, anticronologicamente, dove la morte precede la nascita, la luce del giorno l’incertezza della notte, dove il tempo ha inizio dopo il concepimento del cosmo, dove i sogni si antepongono al sonno che li genera e il dormiente non sa quali immagini fantasma – oniriche il suo inconscio farà nascere e rinascere, non una, ma mille volte. Qualcuno potrebbe obiettare che c’è poco di reale in tutto questo, perché alla ” causa – parola” non segue l’effetto ” realistico – tematico ”.Eppure, non fu il Pascoli, in uno dei suoi poemi conviviali, a dire che… ” Il sogno è l’infinita ombra del vero? ” Così, la realtà descrittiva di Maria Teresa Liuzzo è sì realtà, ma una realtà che nasce da un sogno, in alcuni casi incubi dettati da una visione drammatica del mondo, ma pur sempre legata a una rielaborazione di vita vissuta, dove il richiamo all’instabilità e alla fragilità dell’uomo fanno sì che le sue radici possano essere sradicate da un momento all’altro, quando un vento straniero e nemico vi passa accanto, mentre le stelle danno un senso all’esistenza: ”…insabbiati ciliégi / attendono / la loro primavera. / Fragili uomini / la rassegnazione / del dolente passaggio /… corvi iettatori / annunciano strabilianti / nel ritmico pulsare / di un’era vacillante / l’orrido plenilunio; / vicina catastrofe / in penosa attesa! ” ( da: ”Stelle” ). Ma se la condizione esistenziale prende spazio nel verso che avanza, la denuncia di una visione ottimistica in un contesto violento, come quello di unavita fatta di miserie, ritrova in altri versi il modo attraverso il quale la Liuzzo cerca di costruire un ponte, unico mezzo di salvataggio, tra sé e l’altro, dove questa strada sospesa diventa metafora di una fede che salva e dentro la quale chi scrive non si pone su un gradino più alto rispetto chi legge, ma si porta sul suo stesso livello per farsi ”nulla”, affinché entrambi, come fango, possano costruire il mattone con cui edificare il ponte che li porterà verso una salvezza certa: ” Scatterò ruggine di molla / ubbidiente all’organo / di Chiesa / dove futura gioia / non sarà che lontano / morbo di pena // …t’offrirò o mio Signore / d’amaro pianto / io miseria d’essenza / polvere di fango / che presto si unirà / alle Tue montagne! ” ( da ”Miserie d’umano” ) Esiste nelle sue opere il modernismo di un’epoca che vede lasciarsi alle spalle gli influssi dei grandi ( voglio dire di quei poeti giustamente posti come una pietra miliare di una letteratura pre -novecentesca ), ma come non pensare a un’affinità, se pure richiamata vagamente, con altre figure, a cui potrebbe fare riferimento un certo tipo di letteratura americana, di tipo dickinsoniano, dove il simbolo mette in risalto una nuova concezione del significato primo e inviolabile della versificazione? Così, come se la Dickinson non fosse andata controcorrente per risvegliare un’ideale culturale ed emotivo dell’esistenza, Maria Teresa Liuzzo ci spinge a credere in quella forza che scaturisce da una poesia il cui unico scopo è suggerire il mezzo con il quale guardare oltre il presente e le cose che già sono state, per risvegliarci a un futuro storico-letterario prossimo a venire, ma di cui già si sentono gli influssi, che sa di verità e di fede, facendo di ”Psiche” uno strumento con il quale ritagliare un pezzo di cielo dal colore turchino da riporre davanti ai nostri occhi quando il grigiore dell’esistenza e dell’appiattimento sembrano prendere il sopravvento e rendere nulli i sogni: ” La forza di volontà / scuoterà il rifiuto / di lotta / e riporterà alla realtà / gli imbrogli subiti / dolori patiti / nell’introito odierno / di satire , / messe in scena, / e criminosi delitti / mai ripristinati…” ( da ”Risveglio d’ideali ” ). La tematica del sociale, della guerra, delle sue origini – intesa come terra di provenienza-, Reggio Calabria ( ” Realtà calabrese” ), della natura-dove l’enigma di ” Psiche” sembra avere il suo inizio e la sua fine-, del degrado urbanistico, dell’amore contrastato, dei ricordi d’infanzia, dell’ansia dettata dal presente sono solamente alcuni degli aspetti che la Liuzzo affronta nel suo aprirsi al mondo. Un aprirsi al mondo con un libro dal titolo tanto complesso quanto inquietante, quando si scandagliano i fondali di un’anima la cui luce traspare furtiva per rubare alla notte il suo significato più oscuro, che accompagna l’esistenzialismo determinante di una solitudine, così bene descritta, che da sempre rimane al fianco di coloro che lottano per distruggere l’incubo stesso che la vita genera nel suo progredire.

 

 

 

 

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