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Un filo narrativo invisibile fra “I tulipani viola”

 

di Giulia Calfapietro

Poche volte mi è capitato di leggere una raccolta poetica come quella di Antonella Di Siena Tulipani viola, nella quale un filo invisibile collega, una per una, tutte le poesie che la compongono, raccontando al lettore attento una storia potente ed unica. A coloro che volessero fare questa esperienza di senso ed emozionale mi permetto di dare un semplice consiglio. Abbandonarsi alla dolcezza del verso dell’autrice e lasciarsi cullare dall’infinita tragica leggerezza di una lingua che coglie la vita in ogni sua piega, anche la più nascosta.

La silloge si apre con l’immagine di una natura abusata dall’uomo in un nebbioso mattino di un giorno qualunque. Il mondo degli uomini sembra essere ancora dormiente tanto da non percepire il pianto della pianura che si posa sui rami morti degli alberi intorno. Eppure l’autrice riesce a sentire la tristezza di quei brandelli di campo che circondano ancora la città. Nascondendo il viso dietro il finestrino di un’auto in corsa cerca di proteggersi da quella potente bellezza ormai in rovina che,dolente, continua a fissarla. Il vetro spesso di quel finestrino assume una duplice valenza in questi versi. E’ uno scudo trasparente, che impedisce ad un essere umano di essere vittima di  tanta tristezza, ma, soprattutto, l’auto si confermasimbolo della capacità creativa dell’uomo che spesso però, nel tentativo di trasformare, modificare, forgiare a propria immagine, finisce per distruggere ciò che di grande e di magico lo circonda.

Se l’essere umano è capace di spogliare ed impoverire la natura, con la stessa violenza e cattiveria, è in grado di distruggere la vita dei suoi simili. La storia racconta di guerre di sangue e miseria, di battaglie cruente e sfide mortali che lasciano sul campo soltanto straziante dolore e non risparmiano neppure coloro che profumano ancora di innocenza.

Ai bambinisiriani, ai quali è stato negato il diritto ad una infanzia serena è dedicata Macerie e bombe sui bambini di Siria. La letizia del crescere è stata sostituita per molti fra loro dall’agonia del pianto. Non vi è calore di fiamma nelle loro notti a causa della tempesta di vento che erige vuoti incolmabili di affetti. L’atteggiamento della poetessa in questi versi è quello di una madre, che vorrebbe camminare dinanzi a quei piccoli angeli con i piedi scalzi per poter liberare il loro cammino di sterpi e di sassi. La chiusa della poesia straripa di dolcezza nell’immagine di una donna, figura di madre ideale, che si strugge nel desiderio di prendere in braccio ognuna di quelle innocenti creature per raggiungere, senza ulteriore strazio, un porto sicuro, un rifugio.

Nella brevissima La Thuillel’immagine dolce di madre diviene l’emblema di quella bontà che la speranza ci induce a credere alberghi nel cuore di ogni uomo, anche il più malvagio. “Anche i cuori di pietra amano” grida con forza l’autrice e, nell’immagine della luna d’argento che diviene un cuscino per affogare il pianto, il lettore si chiede smarrito se quanto appena ascoltato sia più di una speranza alla quale potersi aggrappare per riuscire ad immaginare un futuro migliore.

Antonella Di Siena gioca ancora un po’ con l’icona di madre protettrice e generosa, pronta a combattere in difesa della vita e dei più deboli fino a che in Oboe d’amoreil sogno di madre non si concretizza e accarezza le sembianze di sua madre nel ricordo di figlia. Capace di dare origine ad un mondo sconfinato di favole e di sogni, la sua dolcezza riempie ancora l’aria d’intorno come volo di rondini. “Singulto mio inconsolato come nessuno hai accarezzato, ed asciugato”. Una genitrice presente ed attenta, capace di donare un amore immenso. La sua dipartita ha lasciato un grande e assordante silenzio nel cuore, un silenzio che rende ogni notte ancora più scura quando il ricordo si affievolisce. Antonella assegna a sua madre il ruolo di guida, maestra, consolatrice e protettrice, pronta a far scudo con la sua esperienza fra sua figlia ancora bambina e i mali del mondo.

Anche L’inverno del cuore di Milanoritorna sull’idea della protezione e del conforto. Questa volta i protagonisti dei versi sono i tanti clochand senza nome che popolano le grandi stazioni ferroviarie o della metropolitana di qualsiasi grande città nel mondo. Non hanno volti, neppure colore. Sono un mucchio di coperte accatastate, che ricoprono sagome sognanti e dolorose. I passi di coloro che tornano a casa appaiono avari e frettolosi dinanzi a quelle presenze silenziose che sembrano a tratti scomparire nell’ombra della notte. La poetessa dipinge bozzetti di vita che odora di stanchezza, di incertezza e di immensa fragilità.

Alla guerra, alla fame, alla desolazione, al dolore c’è bisogno di dare una risposta. Come può l’uomo sopportare tutto questo? Il peso del vivere per i più sfortunati schiaccia più di qualsiasi altro fardello e il silenzio del cuore implora sollievo. Via crucis a Caravaggioprova ad indicare una strada. Una croce e fiaccole accese invitano a cantare inni di pace. Il Signore del mondo e della storia apre le braccia in segno di accoglienza e protezione. In un rituale di grande trasfigurazione le piaghe degli uomini si inchiodano a quelle di Cristo e nel riconoscimento della Trinità le preghiere mitigano il silenzio impalpabile.

La Trinità: padre, figlio e spirito. Un padre che ascolta e perdona.Com’eri belloè la poesia che Antonella dedica al tenero ricordo di suo padre.

Un uomo dalle membra forti sulle cui ginocchia lei, bambina, trovava rifugio. Una mano grande per potersi rialzare da ogni capitombolo e una voce calda che raccontava le favole al tramonto. “E ho imparato tante strade, quelle della mia città e quelle della vita”In questo assunto ripetuto più volte nella poesia si racchiudono le risate, le parole, i sorrisi, le canzoni, le preoccupazioni ed i baci. Un mosaico di delicati bozzetti di vita che creano insieme l’immagine di un uomo solido e dall’animo buono. La via della scuola e le incursioni dal panettiere per gustare una focaccia calda, le lente pedalate in bicicletta che erano il preludio di un rientro a casa dopo il lavoro, il caffè caldo bevuto in auto di notte per scacciare il sonno e la barba sistemata con cura dinanzi allo specchio. “Seppur troppo presto sei dovuto andar via”: la fine di questi versi costringe il lettore ad abbandonare l’atmosfera magica di questo racconto di bambina e a scontrarsi con l’amara realtà della caducità della vita terrena.

E allora il lettore si chiede: come si può tenere insieme il ricordo e il sogno del futuro, il passato e quello che verrà, le nostre radici e quei percorsi che dinanzi a noi si aprono ogni giorno?

La risposta più probabile è nella forza della poesia, che cuce tempo vissuto e tempo immaginato nel sogno visionario di ogni poeta. Sognoprova a spiegare anche a colui che non conosce i meccanismi emozionali dell’arte quale potere si cela nel cuore e nella mente di un poeta. La creazione artistica è frutto spesso di un momento d’amore inaspettato. Una tempesta che folgora all’improvviso e squarcia il cielo con un tramonto d’Africa. E’ come catturare il respiro più profondo del mare e donarlo al volo possente di un’aquila che raggiunge le vette del monte. Ma perché l’artista possa riuscire nel suo intento poetico deve esser pregno di esperienze di vita. Deve aver provato il dolore, la nostalgia, l’estasi. Deve essersi calato nell’abisso e aver trovato in se stesso la forza per riemergere.

Deve aver attraversato l’inverno del cuore come la Di Siena ci racconta in Ora è. La condizione umana nella quale ogni profumo è perduto, ogni pensiero reciso. Le parole si interrompono, restano soffocate nella gola ed è facile perdersi in un gioco di specchi, che proiettano soltanto il doloroso passato. Eppure se esiste un inverno del cuore vi è anche un autunno nel quale, come leggiamo in San Giuliano, in una sera di mesta nostalgia è possibile udire da lontano le voci dei bambini che giocano per strada e la nuova speranza si riaccenderà nella preghiera al rintocco di una campana che annuncia il ritorno del Signore.

E’ Luogo di silenzioche suggerisce a noi lettori la ricetta del vivere. Amare, tacere, pregare nel denso silenzio del cuore per poter fare tesoro di ciò che ci è accaduto, dei luoghi, degli incontri, delle emozioni. E’ nel sogno che abita la memoria che ci è dato di ritrovare “tutti i volti perduti, tutto l’amore mancato o interrotto”. Amare, tacere, pregare. In questa condizione comune ci sentiamo tutti attori della stessa rappresentazione e sul palcoscenico della vita ci teniamo per mano, finalmente uniti e pronti a riprendere il viaggio con più coraggio e consapevolezza.

E allora mi piace concludere questa piacevolissima passeggiata fra i versi citando ancora una poesia, forse la mia preferita. Si tratta di Tombolo, stazione intermedia dove le foglie dei salici intorno si muovono tremolanti al passaggio del treno. Antonella ci descrive quel treno con una grande ricchezza di particolari. Nella stessa carrozza dell’autrice ci sono una bambina ed un signore anziano. La piccola riempie lo scompartimento con la sua voce vivace. Fa mille domande anche se troverà le risposte soltanto alla fine del viaggio. Il signore attempato ascolta in silenzio. A tratti sorride. A quelle stesse domande ha trovato risposta e questa consapevolezza gli fa sentire sulle spalle tutto il peso del tempo che passa. La carrozza è spaziosa e vi campeggia un grande finestrino. I salici sono al di là del vetro, segno che la prossima stazione intermedia si avvicina.

Torna l’immagine di un finestrino, di una strada da percorrere, questa volta ferrata, della vita che aspetta al di là del vetro e chiede di essere rispettata. Proprio come in apertura di silloge. Proprio come in una storia circolare, che non ha inizio e non ha fine, ma semplicemente un viaggio da intraprendere, durante il quale sentimenti, riflessioni e suggestioni ci faranno da compagni.

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